Recensione Blood Story (2010)

Poetico, terrorizzante, tenero e dolente ritratto di un'adolescenza difficile Let me in è per fortuna lontano anni luce dal glamour fantasy di Twilight ma più romanticamente vicino a E.T., specialmente per i tanti riferimenti al cielo, alla Luna, alla passione del ragazzino per i paesaggi lunari e per lo strettissimo legame d'amicizia che si crea con 'la creatura', con il diverso venuto da chissà quale parte dell'universo.

Amami, ma non mordermi sul collo

Los Alamos, New Mexico, è una cittadina di poche anime desolata e in cui la neve cade incessantemente fino a ricoprire tutto. La vita per un ragazzino di dodici anni in un posto così non è mai troppo allegra a meno che non si abbiano tanti amici, tanti interessi e un carattere estremamente socievole. E Owen, un ragazzino timido e introverso, estremamente sensibile e figlio di due genitori separati che pensano solo a litigare, tutte queste cose non le ha.
Non ha amici, anzi per via del suo essere così mingherlino e schivo è ogni giorno vittima della prepotenza e del bullismo dei suoi compagni di classe che in lui hanno individuato il bersaglio ideale di tutte le loro angherie. Owen vive con la madre in un condominio assai affollato, un complesso di edifici tutti uguali che condividono un ampio cortile in cui lui spesso va a sedersi per prendere un po' d'aria, tra un pomeriggio e l'altro passato a spiare le abitudini dei suoi dirimpettai con un potente cannocchiale e a sognare di diventare un serial killer con tanto di maschera e machete. Tutto nella vita di Owen cambia quando dalla finestra spia il ritorno a casa in tarda notte dei suoi nuovi vicini, un uomo di mezza età con una bambina bionda che ha più o meno la sua stessa età. Abby e Owen iniziano a parlarsi, a conoscersi, ad entrare l'uno nella vita dell'altra senza fare troppe domande per paura di ricevere una risposta. Owen è consapevole che Abby è una bambina diversa da tutte le altre, gira a piedi nudi di notte sulla neve e non ha mai freddo, non riesce a mangiare quello che mangia lui, di notte litiga ferocemente col padre urtando violentemente contro i muri che la separano dalla casa di Owen. Alcuni strani omicidi poi stanno da giorni turbando la comunità di Los Alamos che prima di allora non era mai stata coinvolta in fatti di sangue così efferati. La cruda verità che salterà fuori col passare dei giorni sarà agghiacciante per Owen perchè Abby non è solo una bambina, anzi non è una bambina come lei stessa afferma più e più volte, in realtà nel suo corpo esile e aggraziato, da secoli, è imprigionato lo spirito di un vampiro che per sopravvivere ha bisogno di sangue umano.


Let Me In è un film interessante per tanti motivi. Perchè è un remake di lusso che ha il grande merito di non sfigurare di fronte al piccolo capolavoro originale che ha segnato una pagina importantissima nella storia del cinema svedese. Perchè nonostante sia un remake esso è capace di offrire allo spettatore degli spunti nuovi e dei punti divista diversi che derivano dalla sua trasposizione nel contesto socio-politico americano degli anni '80. Perchè grazie ad esso abbiamo avuto modo di consacrare due giovani bravissimi nuovi attori con un grande futuro davanti ed un regista che finora era stato conosciuto per due film assai commerciali e talvolta accusato di non aver ancora trovato la sua strada. Ma soprattutto perchè Let me in segna il ritorno nel mondo del cinema della mitica Hammer Films, la casa di produzione di film horror britannica fondata nel 1934 da che dopo più di trent'anni da Il mistero della signora scomparsa (remake de La signora scompare di Hitchcock datato 1979) torna a produrre un film di genere dopo aver dato vita tra la metà degli anni '50 e la fine dei '70, a grandi classici come le saghe dedicate a Frankestein, a Dracula e a La Mummia, pietre miliari di un genere che la Hammer ha portato in auge in tutto il mondo e che ha fatto entrare nella leggenda interpreti come Peter Cushing, Christopher Lee e Oliver Reed.

Se a tutto questo aggiungiamo poi che il film, come l'originale, è tratto da un romanzo best seller il cui autore John Ajvide Lindqvist viene a ragion veduta chiamato lo Stephen King svedese e che questo remake cerca, proprio attenendosi maggiormente al romanzo originale, di esplorare qualche aspetto della storia, dei personaggi e della loro psicologia lasciato in ombra nel film originale, il risultato non può essere che ottimo. Addentrandoci poi nella mera esteticità dell'opera non possiamo non notare come il film di Reeves sia perfettamente adattato al contesto americano degli anni '80, come spinga assai di più sulla colonna sonora e sull'acceleratore in termini di costruzione della tensione, giocando con sentimenti come la rabbia, l'impotenza, il sacrificio, l'altruismo, l'affetto, la solidarietà e lo smarrimento e in termini di violenza e crudezza nelle scene in cui dal corpo della dolce Abby esce fuori il vampiro in tutta la sua irrefrenabile voracità.

Poetico, terrorizzante, tenero e dolente ritratto di un'adolescenza difficile Let me in è per fortuna lontano anni luce dal glamour fantasy di Twilight ma più romanticamente vicino a E.T. L'extraterrestre, specialmente per i tanti riferimenti al cielo, alla Luna, alla passione del ragazzino per i paesaggi lunari (basta guardare le pareti della sua cameretta) e per lo strettissimo legame d'amicizia che si crea con 'la creatura', con il diverso venuto da chissà quale parte dell'universo. Owen è un bambino che vorrebbe guardare il cielo ma con il suo cannocchiale finisce per guardare cose e persone che in realtà sono fisicamente assi più vicine del cielo, ma che agli occhi di un ragazzino così fragile e vulnerabile appaiono probabilmente più lontane delle stelle. Let me in è sì il frutto del cinema americano che si avvicina al cinema europeo nel modo migliore e meno invasivo ma anche la più evidente dimostrazione della pigrizia del suo pubblico che ha tenuto alla larga come la peste un film horror d'autore svedese con i sottotitoli.

Se non avessimo visto l'originale saremo qui a parlare di uno dei migliori horror americani degli ultimi vent'anni (come l'ha definito Stephen King), ma il film originale svedese c'è, ha avuto un tale impatto e una tale forza che è impossibile dare un giudizio sul film di Matt Reeves a prescindere da esso. Questo è il film che meglio di tanti altri fa capire quanto sia importante una storia ben congegnata e ben interpretata per la sua riuscita, di qualsiasi nazionalità esso sia. Il caso del remake di Let me in può essere visto come una sorta di trapianto di cuore da un corpo ad un altro: dopo l'operazione difficilmente può funzionare meglio di come funzionava nel suo corpo originario, ma può consentire a chi lo riceve una nuova vita piena di sorprese. L'eventualità di un rigetto e di un imprevisto erano dietro l'angolo ma grazie a Reeves e alla Hammer l'operazione può dirsi riuscita al 100%.

Movieplayer.it

4.0/5