Recensione Battle of the Year - La vittoria è in ballo (2013)

A metà tra dance film e sport movie, un film sul B-boying che ha il pregio di lasciare gli esistenzialismi dei personaggi sullo sfondo e di mettere in primo piano il ballo e le sue evoluzioni, al ritmo di una colonna sonora potente ed efficace, con gli attori veri b-boys di professione che si esibiscono in coreografie fenomenali e sincronismi perfetti.

A colpi di hip hop

Pronti per una full immersion nello scatenato mondo del B-boying? L'ultima frontiera dell'evoluzione della break dance, nata negli anni '70 negli USA, espressione della cultura di strada dei giovani afroamericani, ballo, danza, sport, stile di vita legato al movimento hip hop. Il regista coreano-americano Benson Lee porta sullo schermo questo Battle of the Year - La vittoria è in ballo in 3D, dopo essersi già cimentato con il precedente documentario Planet B-boy sullo stesso soggetto. La citazione delle origini del regista non è casuale in effetti, visto che nonostante il B-boying, nella sua forma primordiale della breakdance, sia nato e cresciuto proprio negli States, oggi questi stessi hanno evidentemente trascurato questa forma d'arte che nel corso degli anni è stata assorbita e sviluppata anche in Europa e soprattutto in Asia, dove i coreani sono diventati i massimi esponenti di questo che nel frattempo è diventato uno sport vero e proprio. E infatti, insieme a Francia, Russia e Germania, dominano da 13 anni la Battle of the Year, o più semplicemente la BOTY, una sorta di campionato del mondo a squadre di B-boying, che si svolge ogni anno in giro per il mondo e dove il miglior team di ogni paese rappresenta la sua nazione.


Questo lo spunto della storia, dove abbiamo il magnate Dante (Laz Alonso), ex ballerino che ha costruito un impero intorno all'industria dell'hip hop, intenzionato a riportare il titolo della BOTY negli USA: per vincere la competizione che quest'anno si tiene a Montpellier in Francia, decide di creare un vero è proprio Dream Team di b-boys, selezionando in un super casting nazionale i migliori elementi di ogni squadra del paese. Per allenare la squadra, si rivolge al suo vecchio amico Blake (Josh Holloway), ex ballerino anche lui, ex allenatore di basket, alcolizzato e alla deriva dopo la perdita di moglie e figlia. Sembra a tutti una scelta azzardata, ma Blake "è uno che sa darti le giuste motivazioni, accenderti il fuoco dentro": comincia un durissimo allenamento dove la prova più difficile per Blake sarà di riuscire a creare un vera squadra, imparare a lavorare insieme superando le individualità, i problemi di ego e i pregiudizi di ognuno. Certo che Josh Holloway, il Sawyer di Lost, con quell'aria stropicciata da sex symbol, canottiera, capelli lunghi e barbetta incolta, proprio non è credibile, ma neanche per un attimo, come coach di una squadra di ballerini hip hop: e infatti per giustificare la sua presenza, la sceneggiatura si inventa che è un ex ballerino, che poi ha dovuto lasciare la danza e diventare coach di basket, quindi di danza in effetti non capisce niente, ma a livello sportivo è un motivatore unico. Naturalmente è il classico loser in cerca di riscatto e redenzione, alcolizzato e depresso, tanto per non farsi mancare il più classico dei cliché.

Il problema principale di questo Battle of the Year in fondo è proprio questo, la mancanza totale di una narrativa e una drammaturgia credibili nei personaggi e nelle situazioni, sullo sfondo delle invece molto riuscite scene di ballo, rese ancora più spettacolari da un efficace 3D. Il film si inserisce nel classico filone dei dance movie dei vari Step Up, ma se ne discosta quasi subito virando verso le classiche tematiche dello sport movie: in entrambi i casi il problema di fondo di una scrittura troppo banale rimane, niente di più del solito luogo comune fatto di filosofia spicciola insomma, sia in aria talent "cambia la tua mente, cambia la tua vita", sia quando si passa all'inevitabile retorica sportiva condita di sano edonismo a stelle e strisce "si aspettano i soliti americani arroganti, facciamogli vedere chi siamo!". Non ci sono per fortuna intrecci amorosi, anche se la cenetta romantica tra Blake e la coreografa Stacy (Caity Lotz, quella di Death Valley), anche lei piuttosto improvvisata, lascia temere il peggio; anche i conflitti di ego tra i protagonisti si risolvono in maniera piuttosto elementare e repentina senza troppo patemi "amico scusa se ho fatto lo stronzo", "ma no scusa tu lo stronzo sono io", e via così, poco o nulla sullo sfondo, tranne che lo spirito di squadra vince sulle individualità, é questo alla fine il messaggio che si vuole che passi e te lo ripetono fino allo sfinimento.
Se non altro il film, rispetto ai canoni del genere, ha il pregio di lasciare gli esistenzialismi dei personaggi piuttosto ai margini e di mettere in primo piano il ballo le sue evoluzioni, al ritmo di una colonna sonora potente ed efficace, con gli attori, veri b-boy di professione, che si esibiscono in coreografie fenomenali e sincronismi perfetti. Peccato che i protagonisti, tra cui il cantante e ballerino Chris Brown e il re del B-boying Jon "Do Knock" Cruz, ogni tanto smettano di ballare e parlino, e allora il tutto diventa molto meno credibile. Peccato perché una sorta di "Saranno Famosi ma con i Bloods e i Creeps" da una parte e dall'altra poteva essere una bella occasione, e la cultura di strada della break dance, la filosofia dell'hip hop come forma d'arte e di espressione di riflessi esistenziali urbani, rappresentano invece un materiale con ben altro potenziale di approfondimento.

Movieplayer.it

2.0/5