Recensione Amiche da morire (2013)

Quello della Farina è un film ben scritto, ben girato e ben interpretato; una pellicola che maschera i difetti con una struttura che sa esaltare la vis comica delle protagoniste, contaminando la commedia con il noir.

Un tonno di nome Rocco

Olivia, Gilda e Crocetta sono tre donne che sperimentano sulla propria pelle quanto sia difficile vivere in una sperduta e non meglio identificata isoletta del Sud, se si è condannate dalle malelingue ad un destino immodificabile. La prima è la moglie invidiata del bellissimo Rocco. Svenevole e un po' sciocca, attira da sempre l'odio delle compaesane che non perdono tempo a profetizzarle il prossimo tradimento del consorte. Con la stessa animosità, e un pizzico di veleno in più, le suddette beghine disprezzano Gilda, la prostituta del borgo, denigrata per la sua carica erotica e per quel mestiere che la mette 'faccia a faccia' con tutti gli uomini del circondario. Infine, Crocetta, nomen omen, è la sventurata zitella, perseguitata da ingiusta fama di iettatrice. Nulla hanno in comune tra loro, se non il fatto di essere considerate degli strani soggetti. Ma quando la dolce Olivia preme il grilletto contro il perfetto marito, in realtà un losco malvivente che l'aveva sfruttata per crearsi una solida reputazione, con Gilda e Crocetta nasce spontaneamente una bislacca società che le porta a disfarsi in maniera rocambolesca del cadavere (inscatolato e pronto per essere tagliato con un grissino) e a dividere la refurtiva del reprobo Rocco. Cercando, come possibile, di evitare le pericolose intrusioni dell'Ispettore Malachia.


L'opera prima di Giorgia Farina, Amiche da morire, è un film ben scritto, ben girato e ben interpretato; una pellicola che maschera i difetti con una struttura che sa esaltare la vis comica delle protagoniste, contaminando la commedia con il noir. C'è un omicidio a cambiare gli equilibri della storia, un colpo di pistola che viene esploso da chi non ti aspetti e che imprime una svolta netta ad un film che per nella prima parte sorprende poco. Tutti i luoghi comuni sul Sud vengono spiattellati senza originalità, anzi calcando la mano in maniera pesante e poco graffiante. In questo calderone finisce tutto: l'invidia delle comari, la religiosità soffocante che diventa superstizione, il rapporto uomo-donna vissuto con rassegnazione, con le mogli che tramano nell'ombra e i mariti che danno 'sfogo' ai loro istinti predatori al di fuori dal tetto coniugale. Se la Farina si fosse fermata qui, ci saremmo trovati davanti l'ennesimo prodotto nazionale e popolare, garbato ma poco sostanzioso; a ben vedere però questo prologo (volutamente?) convenzionale serve per far esplodere l'intreccio e ribaltarlo da cima a fondo. Tanto rasserenante, nei suoi perversi meccanismi, è il mondo del paesello descritto dalla Farina, tanto incerta, confusa e scombussolata diventa la vita di queste tre criminali da strapazzo.

Questa black comedy mediterranea ci presenta tre archetipi femminili, la sposa, la meretrice e la santarellina, che rispondono in un tutto e per tutto ai canoni della rappresentazione, dalla fisicità (Crocetta viene 'addobbata' dalla pericolosissima madre come un albero di Natale, Gilda concepisce il suo look per 'sottrazione'), ai più reconditi aspetti psicologici (il mantra di Crocetta è 'Ho timore'); ma da un certo punto in poi, dal catartico omicidio del marito cattivo, ogni elemento per così dire distintivo diventa un colore in più per caratterizzare il personaggio e non la sua essenza. Brava quindi la regista nel rompere la piena adesione a tre maschere divertenti sì, ma troppo abusate. Ed è il patto criminale, la solidarietà che si instaura con lentezza (o meglio con i giusti tempi), ad operare il capovolgimento imprevisto. Claudia Gerini è saggiamente mefistofelica, l'ironica Cristiana Capotondi diverte con i suoi istinti omicidi e Sabrina Impacciatore, brava e bella (altro che iettatrice) ricorda in più di un momento la grazia di Monica Vitti. Ecco che a fronte di una partenza consueta, l'evoluzione del film si presenta tutt'altro che scontata e ciò permette ad ogni singolo personaggio di andare al di là dello stereotipo che gioco forza incarna.
Lo sparo nel buio innesca una serie di colpi di scena orchestrati molto bene dagli sceneggiatori (oltre a Giorgia Farina troviamo Fabio Bonifacci), con almeno una trovata davvero brillante, ovvero la presa in giro/citazione dei procedural americani di cui Crocetta è fan appassionata e che spingono il trio a pensare e ad agire come farebbero degli assassini che hanno imparato a memoria tutte le avventure di Grissom e soci. E gli uomini? Non fanno una bella figura in questo film. Distratti, ubriachi, violenti, stupidi, vengono rappresentati da Malachia, interpretato da Vinicio Marchioni, il cui spirito indagatore (intuisce l'inghippo, ma non sa dimostrarlo) nulla può davanti a quel misterioso consesso di donne, che rimarrà inspiegabile fino alla fine. Amiche da morire diventa così un'insolita e originale proposta per uscire dal grigiore e dalla piattezza di certe nostre commedie che sono rassicuranti e superficiali rappresentazioni della realtà. Pur con la leggerezza che compete ad un prodotto del genere, qui c'è anche un discorso profondo sulla femminilità; sulle devastanti madri come Lucia Sardo, che avvelena i pretendenti della figlia Crocetta pur di non farla sposare; sugli uomini masculi a cui tutto è concesso. Ottimo esordio quindi per Giorgia Farina, romana, 27 anni, la maggior parte dei quali passati a studiare cinema tra Londra e New York; una lunghissima gavetta nei cortometraggi e nei documentari, la sua, messa a frutto in un'opera che si distingue anche per l'apporto tecnico di Maurizio Calvesi alla fotografia, luminosa e splendente.

Movieplayer.it

3.0/5