Recensione About Face - Dietro il volto di una top model (2012)

Di modesta rilevanza dal punto di vista strettamente documentaristico - troppo esiguo il materiale mostrato, qualche scatto e copertina, pochi filmati e spot - il lavoro di Greenfield-Sanders spicca il volo quando a parlare sono le splendide protagoniste.

Le più belle del reame

'Specchio, specchio delle mie brame...' Non ci sarebbe alcun bisogno di aspettare la risposta all'annosa domanda posta dalla strega di Biancaneve, perché anche il più miope degli specchi magici non avrebbe alcuna difficoltà a dire che le protagoniste di About Face - Dietro il volto di una top model, siano tutte le più belle del reame. Timothy Greenfield-Sanders, fotografo di Vanity Fair e apprezzato ritrattista, ha intervistato alcune delle più importanti icone della moda, da Carol Alt a Marisa Berenson, passando per Carmen Dell'Orefice, Christie Brinkley, Jerry Hall, Paulina Porizkova e Isabella Rossellini, dando vita ad un'opera godibile, che sarà in programmazione nei cinema del circuito The Space, nell'ambito di The Space Extra, nei giorni 24, 25 e 27 settembre, per poi approdare nelle librerie in febbraio nella collana Feltrinelli Real Cinema, con la consueta formula DVD +libro. Presentato nella selezione ufficiale all'ultimo Sundance Film Festival, il documentario riesce in parte a mantenere fede al proposito già contenuto nel titolo. Solo in pochi casi, cioè, riesce davvero a svelare cosa si nasconda dietro al viso di una supermodella. Questo difetto è probabilmente legato al fatto che il lavoro non nasca con lo scopo di approfondire e testimoniare nel dettaglio quel grande fenomeno sociale ed economico che è la moda, a partire dalle sue rappresentanti più visibili, quelle continuamente sotto ai riflettori, ma somigli piuttosto ad una chiacchierata tra amici, ad una conversazione divertente e in alcuni momenti toccante, fatta in memoria dei bei tempi andati. Cosa si intenda per bei tempi andati è presto detto: c'è stato un momento preciso nella storia del costume in cui lo stile non era (solo) qualcosa che potesse essere commerciabile, legato ad un prodotto da vendere, ma anche un'attitudine, un modo di vivere, per esprimere quello che si aveva dentro rispettando la propria personalità, con originalità. Le modelle, divenute poi le top, furono le portavoci ideali di quel sentimento, gettando sul tappeto per così dire anche la loro unicità. Perché come disse una volta una nota esperta del settore, per essere top model bisogna avere qualcosa in più delle altre. E le donne intervistate dal regista-fotografo dimostrano di aver avuto tutte qualcosa di speciale, prezioso. Oltre al corpo perfetto e a un viso che parlava, avevano stoffa: intelligenza, sagacia, simpatia, classe.


Ormai lontane, senza alcun rimpianto, dai fasti passati, riprese in primissimo piano su sfondo nero, queste icone di stile raccontano il loro tempo, gli anni '50 della Haute Couture e gli anni '80 del boom del pret à porter, e il loro spazio/palcoscenico. C'è la New York di Andy Warhol e soci, in cui scorrazzavano Debbie Harry e Madonna; si intravede la Milano da bere, patria del made in Italy. Pochi gli accenni all'AIDS e alla droga, i due 'mostri' che in poco tempo hanno dato il colpo di spugna ad un'età spensierata, forse più tragica ed effimera di quello che si potesse pensare. Se il lavoro di mannequin veniva equiparato a quello della prostituta (questo il timore delle loro mamme...), col passare degli anni ha acquisito sempre maggiore dignità ed importanza, un mestiere con dei canoni ben precisi, regole ferree (chiedere ad Eileen Ford, titolare della più prestigiosa agenzia di modelle) e leggi a volte spietate. Chi decideva di affrontare le passerelle o di posare per i fotografi acquistava indipendenza economica e nel migliore dei casi una propria solidissima identità lavorativa (China Machado, la modella preferita di Avedon è diventata editor di Harper's Bazaar, al pari della omologa di Vogue, Grace Coddington, che abbiamo conosciuto nel documentario The September Issue). Di modesta rilevanza dal punto di vista strettamente documentaristico - troppo esiguo il materiale mostrato, solo qualche scatto e copertina, pochi filmati e spot, tra cui quello scandaloso di Brooke Shields per i jeans di Calvin Klein - il lavoro di Greenfield-Sanders spicca il volo quando a parlare sono le splendide protagoniste.

Non tutti gli interventi riescono ad essere acuti ed incisivi, ma il volto austero di Carmen Dell'Orefice, l'intelligenza e l'ironia di Isabella Rossellini, la travolgente sensualità di Jerry Hall, la follia di Pat Cleveland (la top che danzava sulla passerella), bastano a tenere incollati gli spettatori al grande schermo e soprattutto bastano per far comprendere che dietro a quei volti armonici, orgogliosamente segnati dal tempo, ci sia stato e c'è tuttora, qualcosa di sostanziale; qualcosa che ha cancellato perfino quella specie di inutile vittimismo che spesso colpisce le donne molto belle, preoccupate di giustificare sempre e comunque il loro aspetto fisico con ragionamenti iperbolici. Oggi, realisticamente, sanno tutte di essere state dei 'mezzi' utilizzati dalla grande industria della moda per vendere di più. Le più intelligenti di loro, però, convinte che l'esteriorità non sarebbe esistita senza una grande personalità, sono state in grado di non soccombere davanti a quel meccanismo feroce, realizzandosi anche in altro modo. Diventando attrici, ad esempio, non sempre con risultati degni di nota, o semplicemente spegnendo tutti i riflettori per tornare ad una vita 'normale'. In certi casi cercavano solo qualcuno che fosse in grado di decrittare i loro segreti più reconditi, quei pigmalioni, ( Richard Avedon, Bruce Webber, Irving Penn, solo per citarne alcuni), che sapevano privarle di paure e insicurezza (ebbene sì, avevano il timore di essere brutte), per immortalarle in uno scatto. Nessuna però ha avuto l'ardire di innamorarsi davvero della macchina fotografica, né di sentirsi amata sul serio da quella macchina speciale che ferma il tempo.

Movieplayer.it

3.0/5