Recensione The Italian Job (2003)

Sgombriamo immediatamente il campo da ogni equivoco: questo The Italian Job non ha praticamente nulla a che vedere con l'omonimo cult movie del 1969 che da noi uscì col titolo Colpo all'italiana.

Rapine e vendette

Sgombriamo immediatamente il campo da ogni equivoco: questo The Italian Job non ha praticamente nulla a che vedere con l'omonimo cult movie del 1969 che da noi uscì col titolo Colpo all'italiana.
Elenchiamo subito i pochi e superficiali punti di contatto tra i due film: il nome del protagonista (Charlie Crocker), lingotti d'oro che devono essere rubati, un astuto piano che prevede la creazione di un grosso ingorgo stradale e una fuga a bordo di agili e scattanti Mini Cooper. Ma le analogie terminano qui: infatti, se nel film che vedeva protagonista Michael Caine la rapina aveva luogo a Torino (da cui il titolo), questo con Mark Wahlberg si svolge in quasi tutto in quel di Los Angeles.
Il colpo italiano del titolo è quello effettuato da Charlie e la sua banda a Venezia, dove hanno trafugato 35 milioni di $ in lingotti d'oro. Solo che, al momento di dividersi, uno di loro, Steve, ha deciso di voler tenere tutto per sé, ed è fuggito con il bottino dopo avere ucciso tutti gli altri - o almeno aver creduto di farlo. In realtà i nostri "eroi" sono tutti salvi, con l'eccezione di John, l'anziano esperto di casseforti del gruppo. E' appunto per vendicare la morte dello scassinatore che Charlie ed i suoi decidono di rintracciare a tutti i costi il traditore, ed è per questo che, quando lo scovano a Los Angeles, organizzano un piano per riprendersi l'oro insieme affascinante ed abile figlia di John, che fa lo stesso lavoro del padre ma in maniera (fino a quel momento) legale.
In altre parole, Caine rubava per il denaro, Wahlberg e i suoi per vendetta (molto più politically correct così, nevvero?).

Al di là delle sottigliezze relative alla trama, The Italian Job può essere inserito a pieno titolo in quel redivivo filone degli heist movie, che tanto successo stanno avendo recentemente: sceneggiatore e regista hanno provato ad innestare elementi di Ocean's Eleven (la banda, gli specialisti, l'ironia, la vendetta) sulle fondamenta del film del 1969, ottenendo un film ambiguo e riuscito solo in parte. Le caratterizzazioni psicologiche dei personaggi e le loro motivazioni sono costruite in maniera un po' banale e superficiale, e la parte iniziale del film si rivela quindi forse eccessivamente ambiziosa e pretestuosa.
Si salva e ha la sua validità grazie all'interpretazione breve ma come sempre significativa di Donald Sutherland, che interpreta lo scassinatore che ha la peggio durante la missione veneziana. E proprio Sutherland ci dà lo spunto per parlare del "povero" Mark Wahlberg, qui al suo secondo remake stagionale dopo The Truth About Charlie. All'inizio del film i due recitano spesso l'uno al fianco dell'altro, e francamente ci viene spontaneo chiederci: "perché?".
Il vecchio Donald ha nel dito mignolo più classe, bravura e carisma di quanto l'ex Marky Mark non possa sognare di avere, e il confronto diretto fa che evidenziarlo. D'altronde - ammettiamolo - l'unica vera buona interpretazione di Wahlberg è stata quella del bellissimo Boogie Nights, dove 1)faceva il ruolo di un fesso, 2)era diretto da quel genio di Paul Thomas Anderson.
Si fanno onore invece - con le debite proporzioni - gli altri membri del cast: Charlize Theron (oltre a stordire con la sua incredibile bellezza ogni volta che entra nell'inquadratura) se la cava più che egregiamente nel recitato, Jason Statham è ironico al punto giusto, il rapper Def Mos lo segue a ruota; mentre Seth Green si rivela una delle cose più divertenti del film, nei panni di un geniale hacker frustrato perché nessuno sa che è lui il vero ideatore di Napster, programma che gli hanno rubato mentre schiacciava un pisolino davanti al pc. Un discorso a parte lo merita Edward Norton, che pur offrendo un'interpretazione di (per lui) pura routine, nei panni dello sgradevole Steve riesce a confermarsi per l'ennesima volta come il più grande attore della sua generazione.

Tornando al film, la parte "losangelina" della storia tutto sommato regge, con un piano ben congegnato e non del tutto svelato allo spettatore che quindi assiste con curiosità al succedersi degli eventi, tra organizzazione, pianificazione e finalmente esecuzione.
Ci sono poi alcune piacevoli scene al volante, anche se nemmeno lontanamente paragonabili a quello che è il più bell'inseguimento visto al cinema di recente, quello che vedeva Matt Damon guizzare tra le strade di Parigi (al volante proprio di una Mini - vecchio modello) in The Bourne Identity.
Quindi, un cast tutto sommato da promuovere, una discreta fattura dal punto di vista tecnico ed una trama sufficientemente gradevole ed interessante. Qual è allora il problema? Il fatto è che tutto in The Italian Job sa continuamente di già visto e già sentito, e per questo non riesce ad elevarsi oltre quella medietà che comunica.
Più volte nel film Charlie accusa Steve che il suo limite più grande è la mancanza d'immaginazione: che sia un gesto freudiano di auto-accusa degli autori? Non lo sappiamo, il fatto è che originalità non è la parola d'ordine di questo film.