Recensione The Air I Breathe (2008)

Film prolisso, banale e facilone, The Air I Breathe illude con un discreto inizio, salvo poi crollare precipitosamente ben prima della metà.

Quattro personaggi in cerca d'autore

Quando gli occidentali cercano di fare i conti con la sensibilità culturale dell'oriente, fosse anche su un piano post-moderno e metropolitano, spesso si rischiano svarioni non di poco conto.
The Air I Breathe, pellicola di Jieho Lee il cui titolo straordinariamente sembra destinato a non essere tradotto nel belpaese, trae ispirazione da un antico proverbio cinese, che identifica i quattro principali sentimenti e stati d'animo dell'uomo in felicità, piacere, dolore e amore.
E quattro sono gli episodi in cui si struttura il film, con altrettanti personaggi principali, per un cast che si presenta di tutto rispetto. Forest Whitaker, Kevin Bacon, Andy Garcia, Sarah Michelle Gellar, Emile Hirsch e Brendan Fraser sono solo alcuni dei nomi di spicco che articolano il mosaico dell'opera.
Ma mescolare un grande cast con una struttura ad incastro non garantisce automaticamente la riuscita di un film, nonostante tendenze modaiole sviluppatesi dalla metà degli anni '90 vorrebbero dimostrare l'esatto contrario.

Anzitutto la storia di Lee presenta notevoli problemi di scrittura. Il primo episodio è notevolmente slegato dal resto della narrazione, nonostante il tentativo tardivo di conferirgli un senso strutturale. Ma è anche quello meglio girato, con maggior cura e precisione nei particolari, con più attenzione nel tentativo di rendere credibile una serie di dialoghi che pur in questo discreto inizio vanno alla corda in più riprese.
Dopo che l'espressivo faccione di Forest Whitaker scompare dallo schermo, e con lui il primo episodio, il film si disunisce, smarrisce un proprio baricentro ed una precisa scelta narrativa, disperdendosi in mille rivoli senza capo nè coda.
Peggiora il livello stilistico dei dialoghi come anche della risoluzione degli snodi narrativi, peggiora la gestione dei climax, che spesso si risolvono con la scelta più banale e anacronistica possibile, peggiora la cura nel confezionare l'immagine.
Insomma, sembra quasi che dopo un discreto prologo, al film abbia lavorato un'equipe convinta di aver già dato tutto quel che poteva dare, e interessata solo a portare a casa il lavoro che gli era stato commissionato.

Decisamente un flop, che sembra esser giudicato tale in partenza anche dai distributori, data l'infelice (mediaticamente parlando) collocazione al ridosso della Mostra di Venezia.