Qualcuno da amare: Kiarostami ci racconta il suo film giapponese

L'ultima opera del regista iraniano è un film profondamente immerso nella realtà del Giappone di oggi; 'Ma l'impronta del mio cinema parte tutta dal neorealismo italiano', dichiara Kiarostami.

Presentato quasi un anno fa a al Festival di Cannes, esce il 24 ottobre nelle sale italiane con circa 50 copie Qualcuno da amare, ultima fatica del grande cineasta e narratore persiano Abbas Kiarostami.  Un anziano professore e una ragazza che si incontrano a Tokyo, per un film profondamente immerso nella realtà della metropoli giapponese, girato con attori non professionisti sempre nel segno della ricerca nel campo dell'espressione artistica e dell'analisi della complessità dei rapporti. Autore che da sempre si cimenta sperimentando sui canoni classici della cinematografia, Kiarostami ha incontrato la stampa a Roma alla Casa del Cinema a Villa Borghese per l'anteprima del film distribuito da Lucky Red

Perché la scelta di ambientare il film in Giappone? Abbas Kiarostami: Dalla presentazione del film a Cannes in molti mi hanno fatto questa domanda. In passato mi é capitato di rispondere molto più semplicemente che il motivo é perché amo i giapponesi, il loro ambiente e la loro cultura... In realtà facendo una riflessione più profonda oggi risponderei che il film racconta una storia universale i cui temi non sono necessariamente legati alla cultura giapponese, ma sono comuni e appartengono a tutto e a tutti. Pensiamo sempre ad un posto lontano come ad un posto diverso, dove succedono cose per forza diverse dalle nostre: la lontananza crea incomprensione. Il fatto di raccontare una storia comune in un posto diverso serve a farci capire quanto questa cosa sia vera. 

Come mai la scelta di questo strano finale tranchant?
Definirei il finale non strano ma inusuale. Quando siamo arrivati a quella scena ho sentito che in quel momento era ora di scrivere The End e interrompere il racconto. D'altronde qual é la storia in cui noi siamo dentro a tal punto da poter dire "questa è la fine"? Noi entriamo e usciamo dal racconto di una storia. La fine del film non è la fine della storia. 

E' vero che tornerà a girare in Italia, e precisamente in Puglia?
C'è una sceneggiatura già pronta, ho individuato gli attori e le location. Per ora non ci sono ancora i presupposti, ma se si creeranno le condizioni il mio prossimo film sarà questo e vorrei venire a girarlo in Puglia. 

Può dirci qualcosa del momento che sta attraversando l'attività culturale e la creatività nel suo paese, l'Iran, dove ci sono delle condizioni sociali oggettivamente difficili?
Credo che la creatività sia qualcosa che va al di la delle condizioni sociali del paese, non può essere soffocata dalla situazione politica e da nessun sistema. Nonostante le grandi difficoltà sono invece testimone di un grande fermento culturale negli ultimi anni in Iran, pieno di giovani talenti vivaci e creativi. Posso dire che la condizione sociale qualche volta addirittura può aiutare a vivacizzare la creatività. 

Ci parla del percorso del film in questo ultimo anno dopo Cannes? E' uscito in Giappone e anche in Iran?
Ci sono circa 20 paesi che stanno distribuendo questo film. Il film è uscito in Giappone e ha suscitato reazioni opposte: chi lo amato e chi lo ha odiato assolutamente. In Giappone molti non amano paradossalmente il cinema tradizionale dei maestri giapponesi che invece ha influenzato profondamente il mio film. I cineasti in Giappone oggi riproducono piuttosto il cinema americano. Il film è piaciuto molto negli USA dove al contrario invece gli americani sembra che abbiano più interesse per il cinema d'autore, per il cinema europeo e anche quello giapponese appunto. Mentre in Europa e in Giappone sono più interessati al cinema americano.  Il film non è uscito in Iran, ho proposto di doppiarlo ma non è stato accettato. So che il film gira in formato video con i sottotitoli in inglese. 

Può dirci qualcosa riguardo alla scelta degli attori?
Per il ruolo del professore cercavo un attore non professionista. Nessun attore professionista anziano così abituato a "recitare" non avrebbe potuto darmi quella naturalezza che io cercavo per questo ruolo. Ho trovato il protagonista tra le comparse. Mi ha detto:  "Sono cinquant'anni che lavoro nel cinema come comparsa e non ho mai detto una parola sul set". Gli ho detto che assolutamente poteva fare questo ruolo, che c'erano pochissimi dialoghi.  Alla fine mi ha ringraziato moltissimo ma ha detto che è stata un'esperienza bellissima, ma anche  che é stato faticosissimo, e che preferisce tornare a fare la comparsa. Una persona molto rigorosa e responsabile, che preferisce vivere nell'ombra: un altro motivo per cui amo il Giappone è che esistono ancora persone come lui. 

Cosa le piace del cinema italiano?
Il mio cinema ha le sue radici e il suo punto di partenza nel neorealismo italiano. Non elenco i grandi registi italiani che mi hanno influenzato solo per paura di ometterne qualcuno. Conosco l'Italia attraverso il suo cinema più che per le passeggiate nelle varie città, c'è un senso di familiarità quando sono in Italia, questo non solo per me ma credo sia una cosa comune a tutti gli iraniani. Tutta la mia giovinezza è trascorsa vedendo film italiani, per quelli della mi generazione fuori dall'Iran c'era solo l'Italia. 

E qual è il suo rapporto con l'Iran attualmente?
Difficile da spiegare. Un rapporto complesso, complicato. Non ci capiamo, non ci comprendiamo fino in fondo. Non c'è un rapporto diretto tra me e il governo del mio paese. Cosa che comunque io accetto, non amo lamentarmi delle difficoltà del mio paese. 

Com'è che si decide di ambientare così tante scene nell'abitacolo di un macchina? 
L'abitacolo dell'automobile è un ambiente qualunque, come una camera da letto, o una stanza qualsiasi. Ma in realtà, dove altro potremmo mettere due generazioni cosi lontane, due realtà così differenti, un anziano e una giovane che interagiscono in maniera cosi intima senza neanche guardarsi, vedersi, l'ambiente così stretto è funzionale al legame che si crea. 

In definitiva questo è comunque un film molto giapponese, profondamente immerso nella realtà del Giappone di oggi. Gli ambienti, le atmosfere, i riferimento al rapporto tra la campagna e la metropoli...
Dopo quello che abbiamo detto stamattina potremmo dire anche che è un film iraniano-giapponese-italiano. In realtà all'inizio di questo progetto non sapevo se avrei fatto un film buono o non buono, ma sicuramente avrei fatto un film giapponese  E' stato un film difficile e faticoso, come sempre succede quando giri in un paese che non è il tuo. La mia più grande soddisfazione è stata quando il film è terminato e tutti mi hanno detto "Non vediamo l'ombra di uno straniero dietro a questo film".