Prison Break, terza stagione: il ritorno in carcere

L'atteso terzo capitolo della serie torna sugli schermi americani, rivelandosi parecchio al di sotto delle aspettative, in un déjà vu dai toni un po' forzati.

L'articolo contiene numerosi spoiler sulla terza stagione della serie, non ancora trasmessa in Italia, pertanto si sconsiglia la lettura a coloro che non volessero avere anticipazioni.

C'è chi dice, scherzando, che gli autori abbiano preso la sceneggiatura della prima stagione di Prison Break e, dopo aver apportato qualche piccola modifica, l'abbiano riproposta. D'altronde le somiglianze sono molte, rintracciabili per lo più nella scelta di ambientare la maggior parte delle vicende in carcere. Lo spazio è logicamente differente, viene descritto come un luogo spaventoso, dove vige la regola del più forte, dove non conta chi si è stati prima di entrare; non esistono guardie o secondini all'interno, chi comanda è un gruppo di criminali capeggiati da Lechero (che, sinceramente, tutto sembra fuorché un terrificante delinquente), considerato il vero boss della prigione. In realtà, però, episodio dopo episodio, è come se l'ambiente cambiasse forma, apparisse meno pericoloso, a tal punto da somigliare più che altro ad una sorta di ghetto, nel quale il nostro Michael deve destreggiarsi per non far arrabbiare nessuno e, contemporaneamente, portare a termine il suo compito. Già, il nostro eroe porta per l'ennesima volta il fardello del "risolvere tutto il più in fretta possibile" e ciò implica salvare la vita ad uno svariato numero di persone ed, ovviamente, provare ad evadere di nuovo. E' indiscutibilmente affascinante, nonostante la solita felpa sudaticcia a manica lunga (pensata apposta per non dover esporre i tatuaggi e, quindi, ridisegnarli ogni volta), ma è sempre più teso e preoccupato, invece di parlare sussurra brevi frasi, intrappolato nella tensione snervante.

Chi invece parla come non ha fatto mai è il rude Lincoln, il quale ora si trova nella situazione inversa: è lui quello fuori che deve aiutare il fratello ad uscire, anche se non sembra sia un impresa facile. Susan B lo ricatta, tenendo in ostaggio il figlio LJ e la povera dottoressa Sara; capiamo che lei è in realtà solo la punta del grosso iceberg, identificabile sicuramente dietro a quella misteriosa Compagnia di cui sappiamo ben poco, ma che abbiamo sentito nominare in più di un'occasione. Perché tutto questo? Cosa vogliono questi sconosciuti dai fratelli? Ebbene, pare che tutto sia stato orchestrato per fare in modo che Michael, rinchiuso non a caso a Sona, aiuti ad evadere un certo James Whistler. Veniamo ora a questo personaggio: nelle prime puntate scopriamo che questi ha ucciso il figlio del sindaco di Panama City ed ora si nasconde nei sotterranei della prigione perché, se venisse trovato, chiunque potrebbe ammazzarlo per riscuotere la taglia posta sulla sua testa. Con una serie di furbesche ma, come sempre, esasperate manovre, Michael riesce a stanarlo, riportandolo alla "vita quotidiana" della prigionia. Tra i due si crea un rapporto di dipendenza, sono obbligati a lavorare insieme per progettare la fuga, ma si può bene intuire che dietro a quest'uomo si nasconda molto altro.

Come preannunciato dall'ultimo episodio della seconda stagione, ritroviamo a Sona personaggi a noi già ben noti. Bellick, il secondino di Fox River, è in uno stato di totale sottomissione, maltrattato da chiunque, si aggira come un animale ferito per il cortile polveroso della prigione, lamentando continuamente dolori, sete e fame.
T- Bag riesce a farsi strada anche in quest'occasione, diventato il leccapiedi di Lechero, nascondendo però un secondo fine ancora poco conosciuto.
Mahone è sull'orlo della pazzia, in assenza delle sue medicine si dà alla droga che riesce a mercanteggiare con altri detenuti; cerca costantemente d'instaurare un rapporto con Michael, probabilmente perché conosce bene il ragazzo e sa che potrebbe servirsene per uscire da quella brutta situazione.

Fin qui tutto bene. Certo, non ci vengono proposte grandi novità, ma per lo meno sono interessanti i rapporti che s'instaurano tra i personaggi, in modo particolare tra i prigionieri.
Ciò che però fa storcere il naso è una serie di scelte narrative alquanto esagerate e poco realistiche ed un ritmo sempre più lento. E' comprensibile il desiderio di rendere la trama fitta e, coprendola di mistero, farla apparire intrigante agli occhi degli spettatori, ma sembra che gli autori aggiungano sempre più elementi senza dar modo di capire la situazione. L'assassinio di Sara (citazione di Seven data la testa nella scatola indirizzata a Lincoln), così forzato anche per l'esigenza dell'attrice fuori dal cast; il tentativo di fuga andato male a causa di una nuvola passeggera; la sparatoria con gli elicotteri e la cantina di Lechero nei sotterranei di Sona che, magicamente, compare nel momento di maggior bisogno, questi e tanti altri sono elementi che non convincono.

Per quanto possa volersi ispirare alla prima stagione, questo terzo capitolo non trasmette sicuramente l'adrenalina e l'eccitante tensione di allora. L'interesse del pubblico sta calando ed è un peccato perché, se si tratta effettivamente dell'appuntamento conclusivo (da un lato ce lo si augura), dovrebbe poter restituire ancora quel piacere che si aveva nel seguirlo tempo fa. Bisogna comunque considerare che manca ancora parecchio alla fine, non si sa mai che possa risollevarsi e restituirci un Prison Break come si deve!