Recensione La tigre e la neve (2005)

Si fa fatica a provare empatia per l'Attilio del film e per la sua amata. Non si riesce a rintracciare molta poesia nel suo viaggio folle e disperato verso Baghdad, né nei sui tragicomici tentativi di salvare la vita della donna che ama.

Poesia solo per autodefinizione

Attilio è un poeta. Attilio è desiderato dalle donne. Attilio è simpatico a tutti. Attilio è Roberto Benigni, o meglio, è tutto quello che Roberto Benigni pensa o vuole noi si pensi lui sia. Dopo anni di carriera trascorsi al cinema e non ad elaborare una comicità caustica e surreale, di sicuro molto personale, Benigni sembra in tempi più o meno recenti aver cambiato strada, realizzando prima La vita è bella (film che qui ci limiteremo a definire un interessante e riuscito esperimento) e poi un Pinocchio tanto ambizioso quanto fallimentare. Ora, La tigre e la neve sembra voler conciliare parte della sperimentalità del primo film - nel tentativo di raccontare per vie trasversali il dramma della guerra irachena - con l'ambizione ed il senso di poesia che voleva già essere contenuto nel secondo. Dispiace constatare che il risultato sia decisamente più vicino a quello di Pinocchio che non a quello de La vita è bella.

La tigre e la neve è un film quasi sfacciato nel suo voler essere apologia dell'amore e della sua poesia. Un film dove lo spettatore viene quasi indottrinato dall'autore, che spiega - con intenzioni allegoriche ma risultato didascalico - chi sono, cosa fanno e perché lo fanno i protagonisti delle vicende.
Ci è stato spiegato abbondantemente in questi giorni come questo suo ultimo film non sia tanto sulla politica quanto sul potere e la poesia dell'amore. Ebbene, non basta definirsi poeti per essere tali, né basta raccontare una storia d'amore per descriverne la potenza.
Si fa fatica a provare empatia per l'Attilio del film e per la sua amata. Non si riesce a rintracciare molta poesia nel suo viaggio folle e disperato verso Baghdad, né nei sui tragicomici tentativi di salvare la vita della donna che ama. Questo sia per un problema d'immedesimazione, che per l'effetto distonico insito nel raccontare una situazione simile nel contesto di un tragico conflitto.

Nelle intenzioni dell'autore c'era probabilmente la volontà di raccontare la guerra attraverso meccanismi simili a quelli utilizzati per l'Olocausto ne La vita è bella, ma in questo caso il conflitto iracheno non riesce mai a divenire più di una cornice. La guerra non si vede, perché Attilio non la vede. Guidato da motivazioni esclusivamente egoistiche - il salvare la persona che lui ama - non si accorge di quello che ha intorno, considerandolo solo una situazione difficile come un'altra. Non se ne accorge lui, e di conseguenza non ce ne accorgiamo noi. Mai per un attimo il film riesce a far traslare lo sguardo di chi guarda da una storia personalissima e in fin dei conti né molto interessante né particolarmente divertente per farlo arrivare ad un livello più alto, per comprendere il dramma della guerra e le sofferenze della popolazione irachena. E questo è sia un peccato a livello cinematografico che, soprattutto, a livello etico e morale.

Ci distacchiamo quindi dal coro quasi unanime che ha circondato finora il film e lo stesso Benigni. Il suo è un film non riuscito. Un film sbagliato. E siamo sicuri di fare più del bene a lui, al suo cinema e al cinema italiano tutto esprimendo senza remore questo pensiero piuttosto che edulcorarlo un po' ciecamente .