Pieraccioni parla del suo film di Natale

Il colossale successo de Il Ciclone sembra lontano ed inavvicinabile, ma il regista toscano è pronto a scommettere sulla sua nuova creatura, Ti amo in tutto le lingue del mondo.

Due anni dopo Il paradiso all'improvviso, Leonardo Pieraccioni ci riprova. Il colossale successo de Il Ciclone sembra lontano ed inavvicinabile, ma il regista toscano è pronto a scommettere sulla sua nuova creatura, Ti amo in tutto le lingue del mondo, e, nel bel mezzo delle riprese, si concede una pausa per incontrare la stampa. In uscita il 16 dicembre, il film, prodotto da Levante in collaborazione con Medusa e costato circa 5 milioni di euro, promette divertimento e colpi di scena. La storia è quella di Gilberto, un insegnante quarantenne di educazione fisica, da poco separatosi da una moglie infedele, alla prese con Paolina, un'alunna di 16 anni follemente innamorata di lui. Mentre è impegnato ad arginare quella ragazzina terribile, Gilberto perde la testa per Margherita, di professione psicologa per animali, la quale entra come un raggio di sole nella vita dell'uomo, ma incrocia spesso anche quella di Paolina, in un crescendo di colpi di scena.

Pieraccioni, com'è nato il film?

La prima idea mi è venuta quando un giorno, prendendo un caffè davanti a una scuola, quattro ragazzine mi si sono avvicinate e tre di loro mi hanno dato del lei, mentre la quarta mi ha fatto delle battute così esplicite dal punto di vista dell'approccio che sono arrossito. Ne ho parlato con Giovanni Veronesi, il mio co-sceneggiatore, ed è nato il film. E' una commedia davvero divertente ed io e Giovanni ci siamo divertiti molto a renderla piena di colpi di scena. Sono un sognatore e quindi non mi vergogno di fare dei finali che magari altri autori non riescono a fare. La cosa bella dei miei film è che l'inquadratura finisce sempre un po' prima della fine del pontile, perché magari se la prolunghi ti rendi conto che da quel pontile si può cadere.

Un film divertente, ma che batte i sentieri tortuosi del cuore...

C'è una frase che ricorre spesso nei miei film: "ci si innamora sempre delle persone sbagliate". In tutti i miei lavori precedenti ci sono soltanto amori lineari, c'è un uomo che incontra una donna e bisogna scoprire come i due finiranno insieme, mentre in questo caso gli amori sono tutti amori sbagliati: c'è una donna che tradisce il marito, la ragazzina che si innamora del professore di 40 anni, e la protagonista che viene portata in una villa di scambisti. Penso che il film risenta molto di questi amori che non tornano, anche se alla fine i personaggi capiscono cosa fare e dove andare.

A che punto è la lavorazione?

Abbiamo già girato tutti gli interni a Roma, a Cinecittà. Ora ci trasferiremo sul Lago di Garda, per girare tra il Vittoriale e Gardaland, mentre le ultime sei settimane saremo a Pistoia. Volevo una città piccolina, dove si potessero ricreare quelle situazioni tipiche da paese, dove i panni sporchi non si lavano in famiglia, ma in città, e a Firenze questo non era possibile. Pistoia è una splendida città, a parte dei terribili lampioni che qualche assessore scellerato ha deciso di mettere in centro, e che quindi eviteremo accuratamente di inquadrare. I suoi abitanti si sono mostrati così entusiasti rispetto alla lavorazione del film che quando abbiamo fatto i provini per le figurazioni si sono presentate circa duemila persone.

Qual è il suo ruolo?

Interpreto un professore di ginnastica dell'Istituto Pacini di Pistoia, anche se, nella vita reale, l'unica attività fisica che faccio è quella di portare il cibo alla bocca, e c'è questa ragazzina di sedici anni che mi lascia tanti stickers con su scritto ti amo, in tutte le lingue del mondo, dal francese al giapponese.

Non ha avuto paura di affrontare un argomento così delicato come l'amore di una ragazzina per un uomo adulto?

Se una ragazzina di sedici anni si innamora di un quarantenne c'è evidentemente qualcosa che non va, probabilmente la mancanza di una figura paterna. Avevo il timore di scivolare nel morboso, nel lolitesco, ma dalle prime riprese mi sono reso conto che non è affatto così, anche perché la Gorietti è così esile che sembra davvero mia figlia. Non si cade mai nell'equivoco, ma c'è soltanto la divertente insistenza da parte di lei e il mio respingerla sentendomi dare dell'antico.

Come ha scelto il cast?

Mai come in questo caso sono contento del cast. Giorgio Panariello interpreta mio fratello balbuziente, un personaggio che funziona molto, attraverso il quale esaspero il mio. Massimo Ceccherini è una sfida totale perché interpreta il ruolo di un buono che rimane puro fino alla fine. Sono convinto che Ceccherini sia un attore drammatico straordinario perché il dramma è insito nella sua persona. Qui fa un frate e, incredibile ma vero, non dice neppure una parolaccia. Giulia Elettra Gorietti, invece, l'ho trovata facendo dei provini e mi è subito sembrata perfetta perché è una donnina di sedici anni col candore e la purezza della sua età. Marjo Berasategui, invece, è un'attrice spagnola che con la sua dizione perfetta mi ha ingannato perché quando le ho fatto il provino ho pensato "finalmente ho trovato un'italiana!", ma già dal cognome dovevo intuire che non era poi così italiana. Rocco Papaleo è una conferma, io e lui ci compensiamo perfettamente, e poi ci sono due camei di Elisabetta Ronchetti e Barbara Enrici. Credo che questo, assieme al Ciclone, sia uno dei film più corali che abbia mai realizzato.

E poi c'è Francesco Guccini.

Quando avevo 13 anni mia nonna mi regalò Via Paolo Fabbri 43, uno dei più begli album di Guccini, e ne rimasi folgorato. Averlo nel mio film è per me un sogno. Quando gli ho offerto la parte del preside è stato molto gentile ad accettare, ma quando gli ho proposto un preside di Forza Italia, mi ha risposto "Non esageriamo con la finzione!". Continua a considerarsi un cabarettista prestato al cinema?

Assolutamente. Adesso sono sempre più pigro, ma quando mi capita di essere su un palcoscenico mi rendo conto che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Sto cercando di fare nel cinema quello che ho sempre fatto nel cabaret: far ridere ogni venticinque secondi. Non mi vergogno mai di tentare questo tipo di strada e di esperimento. E' una mia goduria personale andare a vedere i miei film al cinema, sedermi in fondo alla sala e sentire la gente che ride.