Peter Jackson a Roma per presentare Amabili resti

Il regista de 'Il Signore degli Anelli' presenta il delicato film sulla morte e sull'amore che segna il ritorno dell'autore neozelandese alla fantasia.

Totem pubblicitari fasciati da neon rosa, rose rosse carnose e vellutate davanti ai microfoni e toni quasi sommessi nel segno di un religioso rispetto: un'atmosfera suggestiva ha accolto stamattina il regista Peter Jackson, venuto nella capitale a presentare la sua ultima fatica, Amabili resti - The Lovely Bones, tratta dal romanzo omonimo di Alice Sebold (edizioni E/O), un successo mondiale straordinario. Jackson, lontano dalle immagini che lo avevano ritratto anni fa con la barbona imponente e il grembo gonfio dell'artigiano, ci ha raccontato la sua esperienza di regista, di lettore e di spettatore, mostrandosi molto cordiale e teneramente disponibile. Opera delicata e drammatica, carica di toni struggenti e ricca di spunti tematici profondi come l'elaborazione del lutto, il rapporto padre-figli, gli assassini nascosti dietro la porta accanto, l'enigmatico aldilà ultraterreno, Amabili resti, titolo italiano alquanto discutibile e poco evocativo, è un film che nasce nel segno di una fascinazione del regista dal bestseller dell'autrice statunitense e che vuole "intrattenere" il pubblico, verbo chiave della sua esperienza cinematografica. Jackson si confronta con un genere non troppo lontano da quello che aveva segnato la trilogia tolkienana de Il Signore degli anelli: la cifra visiva resta infatti legata in qualche modo al fantasy, ma stavolta a declinare un genere così problematico è la commistione con il dramma e il thriller. Il regista, fiero autore di un cinema neozelandese, come ribadisce più volte per prendere le distanze dall'industria hollywoodiana cui non sente di appartenere, sottolinea che, pur avendo per protagonista un'adolescente, il suo film non punta al pubblico dei teenager, che pure ha tenuto in considerazione da coscienzioso padre di famiglia.

Amabili resti è infatti un'opera profonda e complessa, che mette in scena una storia dolorosa, ma con un enorme tatto e con una grazia in grado di dare luce anche a un plot così cupo. Clima di suspense e tensione alla Alfred Hitchcock, al quale il regista ha dichiarato di essersi ispirato, e toni del giallo che ricordano il suo film del '94, Creature del cielo, il film ci trascina in una tragedia familiare (la scomparsa di una ragazzina di appena 14 anni) riuscendo a sommergerci nelle ansie dei tormentati protagonisti, ma porgendoci la mano per tornare in superficie a inspirare un'aria completamente favolistica. Jackson ci parla della scelta ben mirata degli attori Stanley Tucci, nel ruolo del serial killer "patetico", di Susan Sarandon, la nonna bisbetica e, soprattutto, dell'attrice protagonista Saoirse Ronan (Susie), che all'età di soli 15 anni ha già ricevuto una candidatura all'Oscar come Migliore Attrice Non Protagonista per Espiazione. Il regista ci rivela anche di aver prestato particolare attenzione alle scelte musicali, forse prima ancora che a quella visive, che, sul modello del "maestro" Martin Scorsese, non si limitano, sia con gli effetti sonori sia con la colonna sonora di Brian Eno, ad accompagnare sequenze significative, ma funzionano come casse di risonanza, pronte a catturare il terrore e le emozioni dei personaggi e a farli vivere in maniera realistica agli spettatori, cui Jackson dedica sempre una riverente attenzione.

Cosa l'ha attratta di più del romanzo?

Peter Jackson: Amabili resti m'interessava molto perché affronta un tema difficile, quello che succede dopo la morte e lo fa in modo piuttosto netto perché la protagonista che ce ne parla è una quattordicenne. Ho impiegato due anni della mia vita su questo progetto difficile, che ho affrontato come una bella sfida. Il film stesso poi è abbastanza forte e avrei potuto fare un film grigio, ma non ho voluto: sarebbe stato troppo facile! Io volevo andare oltre e così ho voluto esplorare la natura dell'amore anche attraverso il dramma familiare dei genitori.

Amabili resti è la storia difficile e problematica di un'adolescente di fronte alla morte, tema che sembra riscuota un certo interesse presso il pubblico giovanile. Quando lo ha realizzato pensava ai giovani?

Peter Jackson: Il personaggio di Susie è divertente, non si autocommisera in nessuna occasione e alla fine è come se non morisse. Susie sopravvive in un'altra forma, diversa da quella cui siamo abituati. Come lei nel film, anch'io credo che sopravvivremo e penso che questo sia un buon messaggio da trasmettere anche ai giovani. Amabili resti non è una storia di un omicidio, ma una storia su una perdita dell'amore e sull'adeguamento a questa perdita: la famiglia di Susie affronta uno shock, ma poi trova pace proprio continuando ad amarla come quand'era in vita. Non ho pensato al film come indirizzato ai più giovani, ma volevo fare un film che potesse essere adeguato anche a mia figlia, che è un'adolescente. Ecco perché molti temi, anziché spaventare, sono salutari per il dialogo tra genitori e figli.

Signor Jackson che rapporto c'è tra questo film e il suo precedente Creature del cielo?

Peter Jackson: Creature del Cielo è un film di sedici anni fa. Capisco perché le persone vedano il nostro lavoro cercando sempre modelli e forme nel lavoro che abbiamo fatto in passato, ma in realtà noi registi passiamo da un film all'altro, facciamo film su temi ai quali siamo interessati. Creature del Cielo era basato sulla vita reale dei suoi protagonisti, avevamo avuto accesso ai diari dei personaggi; per Amabili resti invece ci siamo basati sul romanzo: ero attratto da quello che succede nell'aldilà, dopo la morte. E io volevo semplicemente far vedere cosa accade quando muori.

Lei ha dichiarato di essersi ispirato a Hitchcock. In quale aspetto in particolare?

Peter Jackson: Sì, alcune delle scene sono ispirate a Hitchcock, in particolare quella in cui Lindsey si aggira nella casa di Harvey. Non c'è nulla di particolarmente complicato, ma era una sfida per me girare quella scena con una tensione estrema. Hitchcock è maestro in questo. Mi rendo conto di essermi trovato in un paragone piuttosto impegnativo. La citazione che preferisco di Alfred Hitchcock è "I miei film sono fette di vita". Ecco, direi che "I miei film sono fette di torta"!! Io voglio fare film per intrattenere e voglio che il pubblico pensi che quell'intrattenimento valga il biglietto che ha pagato.

Ci parla della sequenza di Lindsey, che è cruciale nel film?

Peter Jackson: Per la scena in cui Lindsey solleva il listello del parquet ho usato una macchina da presa grande come una scatola di fiammiferi, una camera che non viene usata nelle scene di alta definizione, poco costosa ma straordinaria. Credo che Stanley Tucci in quel momento mi abbia preso per pazzo! In realtà non pensavo che le prestazioni sarebbero state così buone, ma dopo la postproduzione ho inserito quelle scene nel resto del filmato ed erano adeguate. Anche per la scena nella stanza sotterranea costruita da Harvey l'atmosfera così claustrofobica dipende da quella telecamerina.

Da appassionato di tecnologia, cosa pensa del 3-D, che ha deciso di non usare?

Peter Jackson: Mi piace la tecnologia 3-D: non sono un integralista!! Io credo che un film vada al di là di quello che succede nel quotidiano, dal quale cerco di sfuggire. Credo che il 3-D possa aggiungere qualcosa all'esperienza cinematografica, non sottrarla. Certo non penso che tutti i film possano andare bene per questo tipo di tecnologia, ma a un certo punto questa si stabilizzerà e non verrà più usata solo per attrarre gli spettatori, ma diventerà molto più comune, un altro dei trucchi da usare per rendere migliori i film.

Tolkien era un autore che credeva nella verità di ciò che scriveva. Di King Kong lei ha detto che probabilmente c'è lo scheletro da qualche parte nel mondo. Quanto è importante per un regista far sì che l'immaginario sia credibile o che lo sia almeno nel momento filmico?

Peter Jackson: Io credo che in qualsiasi film che abbia elementi fantastici sia fondamentale che i personaggi credano che questi elementi siano veri per evitare uno strano senso di ironia. E il regista dev'essere credibile in quello che fa. Quando si chiede al pubblico di intraprendere questo viaggio, questa fuga, noi registi sappiamo che non esistono orchi, draghi, ma per due ore diciamo: - Crediamoci, immaginiamo che siano vere, divertiamoci! E' una sorta di contratto tra regista e pubblico. Bisogna credere che quello che si vede per due ore sia assolutamente vero.

Stanley Tucci e Susan Sarandon sono sorprendenti nei loro ruoli. Come li ha scelti?

Peter Jackson: Sono stati due attori importantissimi, i loro personaggi erano descritti alla perfezione dall'autrice. Per entrambi i ruoli avevamo pensato subito a questi due attori mentre scrivevamo la sceneggiatura, abbiamo chiesto loro di interpretarli e non abbiamo dovuto fare il casting perché hanno accettato, fortunatamente. Susan Sarandon è fantastica sul set, è come nel film. Non l'avevo mai conosciuta personalmente. Spesso si rimane delusi di fronte ad attori di fama, ma lei invece è deliziosa.

Come ha lavorato al personaggio di Harvey, interpretato da Stanley Tucci?

Peter Jackson: Volevo che Harvey fosse un personaggio blando, non che diventasse una sorta di icona pop come Hannibal Lecter. Volevo che fosse anonimo, un uomo patetico, quasi una persona noiosa, che proprio per questo riesce a farla franca. Harvey è come un albero in un giardino, come la carta da parati: non si nota. Avevo pensato subito a Stanley mentre lavoravo alla sceneggiatura. Ci siamo sentiti su skype per discutere del suo ruolo e lui ha voluto parlare con noi una seconda volta, cosa che pensavo fosse un brutto segno, invece voleva vedermi di persona. Io credevo che non si sentisse a suo agio con quel personaggio, tra l'altro è una persona buona e gentile con tre figli e ha dovuto completamente snaturarsi per sostenere questo ruolo: dev'essere stato terrificante per lui!

Quanto conta per questo personaggio il look?

Peter Jackson: Abbiamo lavorato molto sull'aspetto fisico di Harvey: Stanley ha un aspetto italiano, ha un look particolare e noi pensavamo a un'immagine in grado di far capire cosa passa nella mente di un serial killer quando vediamo il primo piano del suo sguardo. Abbiamo usato le lenti a contatto azzurre e una parrucca bionda: credo che il fatto che abbia cambiato il suo look lo abbia aiutato molto sul set, in modo da non ritrovarsi allo specchio con la propria immagine ma con quella del personaggio, dal quale ha potuto così prendere le distanze.

Come ha scelto Saoirse Ronan per interpretare Susie? Aveva già visto Espiazione, il film in cui si era fatta riconoscere?

Peter Jackson: Abbiamo visto una ventina di attrici americane, convinti che prenderla negli Stati Uniti fosse la scelta naturale, ma non eravamo convinti dalle movenze e dall'atteggiamento troppo moderni, che sembravamo uscissero dai film Disney e non avrebbero funzionato per gli anni '70, in cui è ambientata la storia. E' stata una sorpresa quando abbiamo trovato a Londra Saoirse perché era perfetta per il ruolo. L'abbiamo scelta dopo averla incontrata e le abbiamo offerto il ruolo prima ancora che finissimo la sceneggiatura. Il regista Joe Wright stava montando il film Espiazione e ci ha mandato una paio di scene, sei mesi prima che il film uscisse. Questo ci ha permesso di vedere le sue capacità e ci ha confermato il suo talento. Paul, il padre di Saoirse, l'aveva filmata e avevamo visto il suo provino: lei recitava in maniera straordinaria e, senza esagerare, in quel momento abbiamo capito di aver trovato Susie. Abbiamo chiamato la famiglia e l'agente anche perché dovevamo girare in Pennsylvania e per il tema molto forte. Volevamo che ne fossero consapevoli. Loro sono stati meravigliosi.

Come ha diretto la giovane Saoirse Ronan in questo film?

Peter Jackson: Non aiuto mai gli attori nell'interpretazione. Nel caso di Saoirse, lei ha un talento naturale, molto più naturale del mio, nella recitazione. E' stata lei a prendere le redini della sua prestazione.

La tradizione iconografica dell'aldilà è molto antica. Come ha fatto a rappresentare questa dimensione senza cadere nei soliti cliché?

Peter Jackson: Quello che succede quando si muore è una domanda che prima o poi ogni essere umano si pone, è uno dei misteri che unisce tutta l'umanità. Ovviamente io non ho conoscenza, né alcuna idea di cosa succeda dopo la morte, non più degli altri almeno, ma mi piace pensare che ci sia una spiegazione scientifica, una legge della fisica sull'energia che non può essere distrutta. Personalmente credo ci sia una continuazione! Per me il film è intrattenimento, non deve dare adito a un dibattito sull'aldilà, ma deve coinvolgere lo spettatore. Quello che vedete nel film, quello che succede a Susie nell'aldilà è legato al romanzo, era un tema interessante da affrontare, così come la sua vendetta.

Come ha lavorato al suono del film, che sembra così importante per la percezione di certe scene clou?

Peter Jackson: Chiaramente ci sono due aspetti sonori in un film: gli effetti e la musica. Di solito tutti mi chiedono della musica e degli effetti visivi. Amabili resti è un film in cui mi sono concentrato molto sul suono, che è una componente fondamentale di molte scene del film. Ad esempio nella scena in cui Lindsey, la sorella di Susie, entra nella casa di Harvey alla ricerca di prove, non ci sono suoni perché volevo che la casa fosse silenziosa. Harvey conosce i suoni della sua casa perché vive da solo e conosce ogni minimo scricchiolio ed è come se la casa avesse un battito cardiaco. La scena è basata proprio su quei minuscoli suoni quasi impercettibili. Il suono è per me una delle armi segrete dei miei film: può avere un forte impatto sul pubblico.

Come ha scelto la musica?

Peter Jackson: Per la musica volevo creare uno score come quelli che usa Martin Scorsese, un maestro in questo campo. Avevamo scelto una decina di brani degli anni '70, un paio di Brian Eno, che avevamo contattato. Lui poi ha mostrato molto interesse per il progetto, ha letto il romanzo e ci ha contatto per sapere se fossimo interessati alla sua collaborazione alla colonna sonora. Brian non è un compositore per film e proprio questo ci ha permesso di avere una musica molto ambient.

_Amabili resti _rappresenta per lei il primo film americano?

Peter Jackson: E' stata la prima volta in cui ho girato al di fuori della Nuova Zelanda anche se la "Kiwi", la mia azienda, che è neozelandese, ha prodotto il film. Siamo stati in Pennsylvania. Poi per la postproduzione siamo tornati in Nuova Zelanda. Amabili resti non è un film americano ma neozelandese. L'autrice del libro, Alice Sebold, è cresciuta in quella zona della Pennsylvania e nel suo romanzo descriveva molti dei luoghi che aveva conosciuto nell'infanzia: il liceo, la discarica... Lei ci ha tracciato una piccola mappa e quindi ci è sembrato appropriato girare le scene lì.

Quali sono allora i suoi attuali rapporti con gli States?

Peter Jackson: Credo che la mia situazione, al di là di Hollywood, sia in fondo simile a quella vostra italiana. Io sono una sorta di alieno a Hollywood: non sono collegato a quel tipo di vita e sono estraneo a quel tipo di scenario. L'industria di Hollywood chiede che le persone rientrino in un certo parametro e per me è molto più salutare rimanerne fuori ed essere indipendente.