Recensione Il treno per il Darjeeling (2007)

I tempi di una comicità raggelata e folate di genuina malinconia si depositano sui volti apparentemente compassati di Adrien Brody, di Jason Schwartzman e di un Owen Wilson visibilmente ammaccato.

Passaggio in India con fratelli

Dopo aver caricato Steve Zissou e il suo improbabile equipaggio su una nave, la Belafonte, l'eccentrico Wes Anderson ha scelto per il nuovo film un altro viaggio, con paesaggi asiatici sullo sfondo, e soprattutto un diverso mezzo di locomozione. Signori, in carrozza! Stavolta ci si muove in treno. Ma dalle azzardate ricerche oceanografiche di Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004) alle poco convinte ricerche esistenziali di Il treno per Darjeeling (2007) un punto fermo rimane, che a ben vedere è lo stesso espresso magnificamente ne I Tenenbaum (2001): la famiglia. Con tutte le insidie del caso, perché nei film di Wes Anderson la famiglia è una particella instabile che non si limita a raccogliere sbalzi umorali e ripicche continue, trasformandosi all'occorrenza nel catalizzatore adatto a veicolare cambi di tono improvvisi, per cui il passaggio dalla farsa a situazioni potenzialmente drammatiche o a incursioni in generi differenti avviene con disarmante naturalezza.

Questo è l'universo folle e totalmente fuori dagli schemi del cinema di Wes Anderson, prendere o lasciare. Abbiamo già lasciato intendere come una parte consistente del nuovo film si svolga sui binari, per poi deragliare verso altri lidi nel momento in cui i tre fratelli protagonisti sono costretti ad abbandonare temporaneamente il loro treno, con l'idea di portare a termine il viaggio nonostante un détour dalle infauste conseguenze. La meta è il difficoltoso ricongiungimento con una madre che li ha piantati in asso qualche anno prima, alla morte del padre, scegliendo di dedicarsi alla vita religiosa in una remota regione dell'India. Questa stravagante figura materna è impersonata con la classe di sempre da Anjelica Huston. Ma sono le dinamiche interne allo scombinato terzetto, costituito dai fratelli Whitman, ad azionare quella leva che garantisce al racconto atmosfere originali ed emozioni sincere. I tempi di una comicità raggelata e folate di genuina malinconia si depositano sui volti apparentemente compassati di Adrien Brody (Peter), di Jason Schwartzman (Jack), e di un Owen Wilson (Francis) visibilmente ammaccato (quasi una sinistra prefigurazione delle tristi vicende private, quelle bende sulla faccia del simpatico attore texano). C'è una circostanza che non va trascurata: il fatto che i fratelli siano tre, come nella famiglia Tenenbaum, da associare poi alla selezione di ben due attori comparsi nelle precedenti pellicole (Jason Schwartzman, in Rushmore, e l'onnipresente Owen Wilson, cui possiamo aggiungere la stessa Anjelica Huston e un significativo cameo di Bill Murray nel ruolo del businesseman in viaggio d'affari). Dove vogliamo arrivare? Semplicemente all'importanza dei vincoli affettivi, nucleo tematico del cinema di Anderson, da cui si sviluppano scelte di casting ugualmente orientate verso orizzonti di affetto e complicità.

Così dicendo abbiamo soltanto sfiorato una verità che Il treno per Darjeeling, forse meno incisivo narrativamente delle opere precedenti ma girato con stile superbo, sembra proporre in modo insistente, a proposito delle esigenze artistiche dell'autore. Se le situazioni bizarre, il culto dei dettagli e l'humour così spesso trattenuto si impongono costantemente all'attenzione, quale strato epidermico del cinema di Anderson, vi è un desiderio di classicità che emerge con altrettanto vigore. Lo si scorge nel modo di inquadrare gli attori e determinati ambienti, nelle geometriche evoluzioni di carrelli e stacchi di montaggio, nella scelta delle musiche. Qui, non a caso, la colonna sonora viene a inglobare brani prelevati dai film di Satyajit Ray (grande e prolifico regista indiano) e Merchant/ Ivory. Mentre ulteriori contrasti affiorano, quasi in sordina, lungo le rotaie dirette a Darjeeling: notevole infatti che Anderson abbia effettuato le riprese su un treno vero, concedendosi però un tocco old style, verrebbe da dire "alla Orient Express", per molte delle scene girate negli scompartimenti.

Un altro elemento piuttosto naïf è rappresentato da Hotel Chevalier, il delizioso corto in cui duettano Jason Schwartzman e una sensuale Natalie Portman, che il regista ha preteso di abbinare al lungometraggio, in funzione di prologo. L'ennesima scelta singolare, che ci conferma quanto ci provi gusto Wes Anderson a contaminare un universo cinematografico di ispirazione classica con quelle pulsioni che corrono, a rischio di uscire dai binari, verso l'insolito e il post-moderno.