Paradise: gli orrori del nazismo nel dramma morale di Konchalovsky

Due anni dopo The Postman's White Nights, il celebre regista russo torna in concorso alla Mostra di Venezia con un film in bianco e nero ambientato nell'Europa degli anni Trenta e Quaranta, in cui l'ascesa del nazismo e la tragedia dell'Olocausto sono rievocati attraverso i punti di vista di una nobildonna russa e di un giovane ufficiale delle SS.

Poco più di un anno fa, l'esordiente cineasta ungherese László Nemes scuoteva il pubblico del Festival di Cannes con Il figlio di Saul, una sconvolgente incursione nell'orrore indicibile dei campi di sterminio, scrivendo un nuovo, importante capitolo di quel cinema che, da ormai settant'anni, prova a cimentarsi in un'impresa ai limiti dell'impossibile. Vale a dire tentare di restituire, attraverso suoni, parole e immagini, l'abisso morale senza uscita passato alla storia con il termine di Shoah.

Paradise: un'inquadratura del film
Paradise: un'inquadratura del film

E mentre nella memoria ancora riecheggia la potenza immersiva de Il figlio di Saul, a confrontarsi con la tragedia dell'Olocausto è ora il veterano Andrei Konchalovsky, che due anni dopo la vittoria del Leone d'Argento con The Postman's White Nights (rimasto purtroppo inedito nelle sale italiane) torna in concorso al Festival di Venezia con Paradise: titolo emblematico in cui è racchiuso l'ossimoro al cuore di questa angosciosa cronaca degli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale.

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Paradiso perduto

Paradise: un momento del film
Paradise: un momento del film

Il "paradiso", a una lettura immediata, è quello vagheggiato dalla retorica nazista che, nel corso degli anni Trenta, avrebbe macinato facili consensi attraverso gli ideali della "purezza ariana" e di una Germania pronta a risorgere dalle ceneri del primo conflitto mondiale per riconquistare la sua antica grandezza (del resto, una retorica non tanto dissimile aveva già attecchito nell'Italia mussoliniana con un decennio d'anticipo). Ed è la prospettiva di tale paradiso ad affascinare oltremisura Helmut (Christian Clauss), giovane ufficiale delle SS dai modi raffinati e l'apparenza da seduttore d'altri tempi, il quale in una lussuosa località marittima italiana intraprende sulle note di Parlami d'amore Mariù un gioco di seduzione con Olga (Yuliya Vysotskaya), disinibita aristocratica russa. Dai languidi flashback in stile "cinema dei telefoni bianchi" si ritorna però a un presente inesorabilmente drammatico, in cui la vicenda di Olga si dipana tra la Francia sottoposta all'occupazione tedesca e un campo di concentramento controllato proprio da Helmut.

Paradise: un momento del film
Paradise: un momento del film

Helmut e Olga: a loro appartengono le "voci narranti" di Paradise, i due punti di vista agli antipodi - la prigioniera russa e il militare tedesco - dell'imprevedibile racconto intessuto da Konchalovsky insieme alla co-sceneggiatrice Elena Kiseleva. Due sguardi differenti a cui, nella prima parte del film, si aggiunge anche un terzo veicolo di osservazione: Jules (Philippe Duquesne), un collaborazionista appartenente alla polizia francese che si invaghisce di Olga, catturata assieme ad altri membri della resistenza, e spera di ottenere da lei quei favori sessuali che la donna gli ha esplicitamente promesso in cambio della propria salvezza. Ma si tratta soltanto del primo di una serie di snodi narrativi che Konchalovsky mette di fronte a questo terzetto di personaggi, costringendoli di volta in volta a compiere ardue scelte morali.

Viaggio all'inferno

Paradise: una scena del film
Paradise: una scena del film

Ed è forse in questo elemento che va ricercato il nucleo della pellicola del regista moscovita: nel perenne, ineludibile conflitto fra l'etica e la lotta per la sopravvivenza. Un conflitto che si riproporrà in maniera puntuale ed inesorabile, benché in forme via via diverse, sia a Helmut che a Olga, mentre gli stessi comprimari rivolti verso la macchina da presa spiegano e commentano le proprie azioni in una sorta di immaginaria 'confessione' con il pubblico, quasi a voler rielaborare (non limitandosi dunque a una mera ricostruzione mnemonica) i vari gradini di un percorso già consumato fino in fondo. Una discesa nell'abisso, appunto, mentre tutt'intorno il mondo sta letteralmente andando a fuoco e in cui i sentimenti privati - e i paradisi personali - vengono contrapposti al peso insostenibile dei meccanismi della Storia.

Paradise: un'immagine tratta dal film
Paradise: un'immagine tratta dal film

Si tratta dell'aspetto più audace, benché non sempre del tutto convincente, di un'opera ambiziosissima nella sua volontà di unificare due piani narrativi e tematici assai distanti: da un lato l'inferno dell'occupazione, delle guerre civili e dei campi di concentramento, dall'altro le convenzioni del più classico melodramma romantico (classico, si badi bene: chi cercasse torbidi risvolti sul genere de Il portiere di notte resterebbe deluso). Un amalgama non privo di rischi, ma che Konchalovsky saggiamente declina verso un'amara riflessione sul tramonto di un'epoca devastata dai propri impulsi autodistruttivi, evitando al film cadute di tono o scivoloni nella soap opera a sfondo storico; soprattutto grazie ad una messa in scena al tempo stesso rigorosa ed avvolgente, dominata dal superbo bianco e nero della fotografia Aleksandr Simonov, e alle interpretazioni misurate ma di dolente intensità di Christian Clauss e Yuliya Vysotskaya.

Movieplayer.it

3.0/5