Paolo Virzì presenta Tutti i santi giorni

Il nostro incontro con il cast della nuova commedia del regista livornese, il racconto di una storia d'amore tra due giovani che vogliono disperatamente un figlio; 'I miei protagonisti, antidoto al gelo e alla ferocia di questo mondo', racconta Virzì.

A due anni di distanza da La prima cosa bella, Paolo Virzì torna dietro alla macchina da presa con una commedia genuinamente romantica, Tutti i santi giorni, in uscita nazionale il prossimo 11 ottobre, grazie a 01 Distribuzione. Ispirato al libro di Simone Lenzi, La generazione, il film racconta la storia d'amore tra Guido, portiere di notte in un albergo, fine studioso di lingue classiche e Antonia, cantautrice siciliana e impiegata in un autonoleggio. I due si amano senza porsi troppi problemi relativi alle proprie 'differenze' culturali. Unico cruccio nella loro relazione appassionata è la mancanza di un figlio. Decidono così di imbarcarsi in questa grande avventura lanciandosi in amplessi da record olimpico, visite da luminari del settore e sedute ayurvediche da fantomatici santoni. Il punto è quanto il loro rapporto riuscirà a resistere davanti a tanta foga, alle intrusioni di amici e parenti, alla paura di non riuscire nell'impresa e di sentirsi quindi inadeguati. Ne abbiamo parlato questa mattina con i diretti interessati, Paolo Virzì, i due protagonisti Luca Marinelli e Federica Victoria Caiozzo, in arte Thony, autrice delle canzoni che ascoltiamo nel film, e uno degli sceneggiatori Simone Lenzi, voce del gruppo rock livornese Virginiana Miller, interpreti della title track della colonna sonora.

Virzì, cosa l'ha colpita nel libro di Simone Lenzi, tanto da spingerla a girare questo film? Paolo Virzì: mi ha colpito la struggente storia d'amore che lega i due protagonisti, una giovane coppia eccentrica che vive una travolgente passione, un qualcosa di autentico, nel gelo, nella ferocia e nella volgarità di questo mondo. Non è facile parlare di amore al cinema senza scadere nella melensaggine e nella falsità.

Come ha lavorato sull'adattamento del romanzo?
Abbiamo aggiunto qualche complicazione in più perché il romanzo di Simone è il monologo interiore di Guido. Volevamo invece anche il punto di vista di Antonia, mantenendo sempre una certa semplicità nella narrazione.
Simone Lenzi: in realtà non si dovrebbe neanche parlare di adattamento. Sono comunque soddisfatto di aver scritto delle pagine che sono servite da stimolo per fare qualcosa di diverso, un qualcosa che però in nessun modo tradisce il nucleo emotivo del romanzo. Nel libro c'è poco plot. E' la storia di un uomo e una donna che vogliono avere un bambino, non ci riescono e vanno a fare un giro in barca. Capisco che per il cinema è un po' poco. Ecco siamo partiti dall'emotività nascosta dietro questa storia e Paolo ci ha fatto un film bellissimo, raccontando anche altro.

Guido è un personaggio così particolare, con un linguaggio tutto suo, ricco di termini forbiti e desueti. Non ha paura della poca verosimiglianza di questo carattere? Paolo Virzì: assolutamente no. E' proprio il personaggio di Guido, tra i due, ad essere il più verosimile. Guido è Simone ed è seduto vicino a me. La verità è che siamo talmente tanto abituati alla galleria di maschere grottesche che ci circondano, ai Batman di turno, da pensare che due come Guido e Antonia non esistano. Invece non è così. Mi rendo conto che sia anomalo come discorso, ma la verità è più soprendente di quello che sembra.

Anche la città di Roma sembra un luogo per nulla accogliente, forse un po' feroce, come certi suoi 'figli' che si vedono nel film...
Sfido chiunque a raccontare una città bella ed inquietante come Roma. Chiedetelo ad Allen quanto sia difficile. Diciamo che nel film ci sono tanti aspetti diversi. C'è la Roma tradizionale, tutta cupole, un po' come grandi poppe, una città opulenta e incinta e poi c'è il paesaggio contemporaneo con le sue facce. Non ho l'atteggiamento del manicheo.

Era sua intenzione quella di descrivere in maniera così esagerata il mondo dei medici?
Questo è un aspetto che appartiene in toto al romanzo ed era un elemento molto interessante. Nel film ci sono due figure contrapposte, quella del professor Savarese, il cosiddetto ginecologo del papa, che italianamente dice 'Mi prenda questo, mi faccia quest'altro', facendo sentire in colpa la povera Antonia, alla quale neanche si rivolge e poi c'è la ginecologa che si occupa della fecondazione assistita, molto brusca nei suoi modi ma anche molto schietta. Non volevamo mettere alla berlina i medici, ma mostrare le diverse figure che si possono incontrare.

La vicina di casa di Antonia e Guido, Patrizia, così bionda e svampita, ricorda molto la Micaela Ramazzotti di Tutta la vita davanti...
Micaela è un'attrice, sa fare personaggi popolari di grande verità e nella sua carriera ha fatto anche questo ruolo, ma non solo questo. In realtà lei si è identificata in Antonia, 'Ma quelli siamo noi due', ha detto quando ha visto il film, riferendosi ad un tipo di dinamica psicologica che si instaura tra di noi, quando io gioco a fare il filologo palloso.

Con questa commedia romantica si è allontanato da certi temi per così dire più impegnati dei suoi ultimi film?
Nella mia carriera ho preferito sempre raccontare le vicende umane, evitando che i temi di rilevanza politica e giornalistica, per quanto spinosi, interessanti e coinvolgenti potessero essere, prendessero il sopravvento su queste. Per come la vedo io il cinema è il racconto delle vite delle persone. Nel caso specifico di Tutti i santi giorni, di questioni ne tocchiamo tante, ma restano sullo sfondo. Parliamo di fecondazione assistita, di nuova medicina, parliamo della sottoutilizzazione dei nostri talenti. Guido è un latinista ma fa il portiere di notte quasi senza recriminare, come dire la bomba è già scoppiata, il dato è ormai questo, contribuisce a creare la verità del racconto, ma non diventa prevalente. Anche se non per questo è meno tragico. Ripeto, la cosa più affascinante è avere la capacità di emozionare e creare simpatia per i personaggi. Uno dei film che ho amato di più nelle ultime stagioni è stato Another Year di Mike Leigh per la grande intensità di narrazione umana. C'è una coppia di sposi, non più giovani, che raccoglie e ospita alcuni amici. Tutto qui, ma la grandezza di regia e attori è tale da coinvolgermi. Sarà egoismo, non lo so, ma quando si fa un film si è costretti a frequentare a lungo i propri personaggi e si vuole passare questo tempo con persone che ti piacciono.

A proposito di persone che le sono piaciute, come è arrivato a scegliere i due protagonisti, in particolare l'esordiente Federica Victoria Caiozzo?
Cercavamo quell'autenticità che possono portare gli attori esordienti, quella sensazione di verità. E poi avevamo bisogno di qualcuno che cantasse canzoni e allora con Simone, che è il vero esperto di musica indie, ci siamo messi a setacciare il web e siamo arrivati a Thony. Di lei sapevamo che era siculo-polacca, definizione stranissima, che cantava bellissime canzoni in inglese, tutte sue, e che si era esibita al Frankie Pub di Livorno. Ci avevano detto che era stata ganzissima e l'abbiamo incontrata con tutta la circospezione del caso. Avevamo paura che fosse matta (ride), invece abbiamo scoperto che era molto spiritosa e che non era per niente interessata a fare l'attrice. In pratica voleva far contenti questi stronzi del cinema. Luca già si conosceva. E' un attore di grande finezza e gentilezza ed è anche molto bello. E' un piacere filmarlo. E' destinato ad essere un grande del nostro cinema futuro. E poi quando interagiva con Thony era sempre molto emozionato, stavano bene insieme.
Federica Victoria Caiozzo: quando ho letto la sceneggiatura ho avuto l'impressione che il ruolo di Guido sarebbe stato difficile, perché è così atipico, ma mi è bastato sentire Luca per credergli all'istante e ho capito che non sarebbe stato impossibile interpretare il film. Tutti mi hanno fatto pensare di potercela fare e mi sono buttata.