Paolo Sorrentino ci presenta L'amico di famiglia

Il regista del fortunato Le conseguenze dell'amore torna al cinema con il nuovo lavoro, presentato in questi giorni alla stampa romana.

Poche volte si è vista una Casa del cinema così affollata per una presentazione stampa. Esaurite le poltrone disponibili, molti giornalisti si sono dovuti accontentare di una sedia recuperata all'ultimo secondo o di uno scomodo spazio sulle strette scalinate della sala di Villa Borghese a Roma. Eppure, nessuno si è voluto perdere la visione del nuovo, attesissimo lavoro del regista italiano più innovativo degli ultimi anni, Paolo Sorrentino. Presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes, L'amico di famiglia, prodotto da Fandango e Indigo Film e distribuito da Medusa nella ragguardevole cifra di 130 copie, arriva venerdì nelle sale con un finale accorciato di sei minuti rispetto alla versione presentata alla kermesse francese. Ancora una volta Sorrentino sceglie come protagonista di un suo film un personaggio in lotta con la solitudine: Giacomo Rizzo, vincitore del Premio Alberto Sordi 2006, che gli verrà consegnato da Margaret Mazzantini giovedì 9 novembre alla stessa Casa del cinema, interpreta il cinico usuraio Geremia, settantenne con il corpo di un mostro e la lingua capace di schizzare una brillante ironia. Il regista ci racconta come è arrivato a questa strana commedia noir con un protagonista così scomodo.

Cosa l'ha spinta a realizzare questo film?

Paolo Sorrentino: Avevo voglia di mettere insieme due cose così antitetiche come la commedia e la figura dell'usuraio, che istituzionalmente non può suscitare ilarità. So che questo è un tipo di commedia che può non far ridere immediatamente, perché siamo più abituati a una commedia sofisticata o demenziale, ma trovo che il protagonista del mio film abbia una dose di ironia che non può non far ridere. Ho voluto, inoltre, realizzare questo film per procedere nella mia riflessione sulla solitudine dell'uomo, un tema presente in tutti i miei film, perché trovo sia una condizione imprescindibile dell'individuo e, sono convinto, ritornerà ancora nei miei prossimi lavori.

Lei ha la fama di scrivere le sceneggiature dei suoi film in pochissimo tempo. Al momento di girare quanto è importante avere una forte sceneggiatura sulla quale contare?

Paolo Sorrentino: Molte cose nel film sono lontane dalla sceneggiatura, molte scene sono concepite e realizzate direttamente sul set, comprese quelle invenzioni estemporanee che il protagonista, Giacomo Rizzo, partoriva continuamente. Alcune scene non sono presenti nella sceneggiatura originale, come quelle del metal detector. La lavorazione di un film, comunque, è essenzialmente una routine: si scrive, si prepara e poi si gira.

Rispetto alla versione presentata al Festival di Cannes, ha deciso di tagliare, in vista dell'uscita in sala, circa sei minuti del finale del suo film. Perché questa scelta?

Paolo Sorrentino: Penso che un film non raggiunga mai un grado di precisione assoluto. Per essere pronti all'appuntamento di Cannes avevamo fatto un montaggio forse un po' troppo frettoloso, con alcune sequenze, nella parte finale, che appesantivano inutilmente il film e così, visto che avevamo tempo per farlo, abbiamo voluto rivedere e correggere queste imperfezioni in fase di montaggio definitivo. Rispetto alla versione di Cannes c'erano delle code di racconto che non servivano: per esempio, sono state tagliate la scena in cui lei torna dal protagonista e quella in cui questi viene sparato dal cliente che vuole comprarsi il titolo nobiliare.

Come nei suoi precedenti film, anche qui c'è una grande cura per il suono e le musiche.

Paolo Sorrentino: Il suono è una passione per la fase del mix che hanno alcuni registi, come per esempio Giuseppe Tornatore, che nel suo ultimo film ha fatto un piccolo miracolo sotto questo aspetto. Anch'io sono tra quelli a cui piace molto lavorare sul suono. Per quel che riguarda le musiche, invece, stavolta ho scelto di non affidarmi a Pasquale Catalano, come nei miei due precedenti lavori, ma il cambio di musicista è avvenuto per caso. Teardo mi ha spedito dei suoi cd e quando li ho ascoltati non mi sembrava vero che gli italiani facessero musica elettronica. Così, l'ho chiamato, anche perché lo sentivo più vicino allo spirito del film rispetto a Catalano. La colonna musicale nasce sempre in sede di sceneggiatura per me. Tengo a precisare che non c'è una musica fatta apposta per il film, ma è tutto materiale che Teardo ha già inciso da anni.

Lei si affida sempre a cast insoliti. Perché?

Paolo Sorrentino: Il cast inusuale molto spesso è un caso, ma quando scrivo un film ho sempre ben in mente l'attore che voglio per il mio protagonista. E' successo così anche per Giacomo Rizzo, il film è pensato su di lui. E' un attore che mi è sempre piaciuto, ma può essere utilizzato solo in un determinato tipo di film, e questo era perfetto per un caratterista come lui, un attore comico capace di giocare su più registri. Devo dire che è stato davvero bravo ad interpretare un uomo così squallido. Nella vita reale non esistono né persone completamente virtuose né persone totalmente negative, ma tutti noi siamo un misto di queste due cose. Nei film si procede per estremizzazioni, come il personaggio di Geremia che ci spinge a riflettere su quello che potremmo diventare. Trovo che sia molto più facile diventare persone come lui, piuttosto che come Madre Teresa di Calcutta.

Ha scelto di girare il film tra Latina e Sabaudia, posti con un'architettura molto rigorosa, di stampo fascista. C'è qualche legame tra questi luoghi e i personaggi del film?

Paolo Sorrentino: Trovo che l'immagine caotica sia appannaggio della televisione, mentre il cinema deve scegliere dei luoghi dove ci sia ancora il tempo di fermarsi a riflettere. Non penso che quell'architettura abbia dei collegamenti immediati con i personaggi. C'era semplicemente la necessità di girare in luoghi che potessero restituire un'immagine che avesse una sua forza. Quell'architettura così razionale significa uscire dal caos della città e immergersi in luoghi quasi vuoti. Conoscevo quei posti, li ho fotografati e ho cominciato a vedere in loro una parvenza di immagine degna di entrare in un film. I luoghi poi si ricavano dalla proprie idiosincrasie. Io, per esempio, odiando motorini e macchine parcheggiate, scelgo luoghi dove ce ne siano il meno possibile.

Nei suoi film torna spesso il tema dei soldi. Cosa rappresenta per lei il denaro?

Paolo Sorrentino: I soldi si ritrovano lì per caso, sono semplicemente dei veicoli del potere, dei rapporti ad esso legati e di come la gente usi questo potere. I soldi in fondo sono qualcosa di estremamente banale. E' molto più interessante vedere come le persone si comportino sulla base della presenza o dell'assenza di danaro.