Oggi l'esorcista non c'è

Pregare non serve più a nulla perché il demone Pazuzu, nel nuovo (vecchio) episodio de L'esorcista, non è temibile come in quel lontano 1973, anno che segnò l'inizio (e la fine?) di tutto...

Il controverso prequel di L'esorcista, in tempi in cui l'orrore e lo spavento cinematografico hanno travalicato ogni confine del lecito (e del decente), risulta essere un colpo di coda di un cinema che non c'è più. Il primo e indimenticabile episodio firmato da William Friedkin scosse nel profondo gli animi, pudibondi e ancora ingenui, di platee e gallerie ancora non abituate alle forsennate circonlocuzioni visive che oggi sono consuetudine. Il cinema horror ha ormai intrapreso una strada in cui il riciclo dei vecchi cliché ha esaurito la sua efficacia. Riproporre al giorno d'oggi gli stessi tratti distintivi che hanno fatto diventare L'esorcista un cult, sembrerebbe dunque un insulto nei confronti dei vecchi e anche dei nuovi appassionati del cinema di genere. Renny Harlin propone invece un'operazione coraggiosa non suffragata però, almeno secondo i primi dati, dal successo al boxoffice.

L'esorcista: la genesi si propone sin dall'inizio come uno studio sulla natura ontologica del male e sulla pseudo-bergmaniana assenza di Dio, in cui il giovane padre Merrin porta tutto il peso del dubbio e dell'agnosticismo. Il regista finlandese centellina sapientemente i momenti gore della pellicola, almeno fino ai fuochi d'artificio del finale, allorché le dislocazioni corporali della vecchia e cara dolce Regan tornano di colpo ad essere padrone dell'"ospite" di turno (con tanto di macchiettistico vocabolario). L'esorcismo conclusivo è difatti una chiara concessione alle recenti tendenze iper-dinamiche del cinema horror che dimentica se stesso per accogliere gli stilemi tipici (e fuori luogo) di tanti e deleteri action movies (c'è anche un appena accennato effetto Matrix...). Harlin, però, quasi senza farsi scoprire, gioca addirittura la carta del thriller, con il maldestro tentativo di confondere le acque intorno alla presunta possessione diabolica del bambino africano. L'esorcista: la genesi nella sua ultima parte rinnega, in altre parole, il profilo mitizzante, tra "maledizioni" antiche e moderne della storia umana, che era stato faticosamente delineato fino a quel momento.

Per la prima parte, invece, Harlin sembra prendere come referente privilegiato il secondo episodio della saga (L'esorcista II: l'eretico) piuttosto che il famoso "progenitore": ci riferiamo al film di John Boorman, frettolosamente aborrito dalla critica e dal pubblico, in cui si proponeva lo stesso approccio antropologico alla storia. Anche in L'esorcista: la genesi il suggestivo scenario della zona degli scavi (con un locale pubblico che sembra però uscito direttamente da Casablanca) e l'aura di mistero che avvolge la chiesa sepolta, forniscono una direttiva stimolante che ottiene i migliori risultati proprio negli anfratti del luogo di culto (grazie anche alla fotografia di Vittorio Storaro). Mentre non possiamo dire la stessa cosa dei sensi di colpa (rievocati con il solito, stereotipato abuso di flashback) di padre Merrin, legati al tragico episodio di cui il gesuita fu protagonista durante il secondo conflitto mondiale: manca in sostanza il tocco del maligno che Friedkin evocò in maniera spietata per il simil-edipico complesso di padre Karras.

Forse qualcosa di diverso e di più profondo possiamo attenderci dal film parallelo portato a termine da Paul Schrader (tra l'altro grande studioso di cinema), licenziato dalla produzione a pellicola quasi ultimata e sostituito proprio da Renny Harlin. Prima ancora di Schrader, però, fu interpellato per la regia John Frankenheimer (autore del sequel, guarda caso, di Il braccio violento della legge di Friedkin) che morì improvvisamente a lavori non ancora iniziati. Dalle voci che circolano, la versione di Schrader (per la quale è già stata annunciata un'attesissima edizione in DVD) affronta lo stesso script di L'esorcista: la genesi con modifiche minime, ma con un aplomb infinitamente più interiorizzato e più psicologico. Al di là del puro dato estetico, resta comunque la curiosità di uno stesso film girato due volte e praticamente in contemporanea: non è che in questo strano sdoppiamento il demone Pazuzu c'entri qualcosa?