Recensione Io sono leggenda (2007)

Il film di Lawrence converte ogni riflessione dubitativa e ogni concezione relativista in un monolitico e testardo aggrapparsi all'assolutismo etnocentrista della cultura conservatrice contemporanea.

Non è più tempo per le leggende

Chissà se quando 54 anni fa ha pubblicato per la prima volta Io sono leggenda, Richard Matheson era cosciente di aver dato alle stampe un romanzo seminale per la fantascienza e l'horror di tutti gli anni a venire. Forse no, ma questo non sottrae nulla alla bellezza e all'importanza di un libro avvincente e appassionante e al tempo stesso carico di sottotesti socio-politici. La storia del romanzo, infatti, documentava perfettamente ansie e paure degli anni della Guerra Fredda ponendole in una prospettiva di uscita dalla crisi, riuscendo anche attraverso l'universalità di alcune situazioni e della psicologia umana a rendere senza tempo la sua riflessione. Non è ad esempio un caso che Romero abbia confessato un forte debito nei confronti del testo del suo La notte dei morti viventi; e non è un caso se il nuovo adattamento del libro di Matheson firmato da Francis Lawrence sia uno dei tanti film che (di)mostrano pienamente l'impatto dell'11/9 e delle sue conseguenze anche attuali sulla cultura contemporanea. Purtroppo però, se la storia raccontata da Matheson (e ancor di più il libero "adattamento" di Romero) erano caratterizzati un preciso punto di vista politico e sociale, marcatamente progressista, questo Io sono leggenda interpretato da Will Smith lo è in maniera completamente opposta, convertendo ogni riflessione dubitativa e ogni concezione relativista in un monolitico e testardo aggrapparsi all'assolutismo etnocentrista della cultura conservatrice contemporanea.

Io sono leggenda è quindi un blockbuster hollywoodiano a tutti gli effetti: lo è dal punto di vista della costruzione spettacolare e divistica, e lo è in quanto prodotto di un establishment economico-culturale dominante che non ha alcuna voglia di polemizzare con lo status quo socio-politico del proprio paese, ma che anzi sembra voler inneggiare alla conservazione.
Nulla da ridire ovviamente per quanto riguarda la prima parte di questa definizione: il cinema è industria ed intrattenimento, ed Io sono leggenda per buona un'ora di narrazione intrattiene eccome, riuscendo persino a stupire in alcune situazioni e a far sperare in qualcosa di decisamente diverso da quello che invece seguirà. Gestendo con attenzione e parsimonia gli effettacci (speciali e non), Lawrence racconta con efficacia - ed una certa qual dose di coraggio - la dolorosa solitudine di un personaggio costretto(si) in una situazione da incubo, la sua disperazione sommessa, il peso della responsabilità di essere forse l'ultimo uomo sulla Terra. Le scene di una New York deserta sono efficaci, così come lo sono alcune sequenze d'azione e di suspense e altre che invece raccontano l'intimo del protagonista - vedi Will Smith (efficace nella parte) alle prese con i manichini da lui stesso allestiti per combattere la solitudine o il suo rapporto con il cane Sam.
Ma quest'equilibrio e questa efficacia iniziano ad essere incrinati dai sempre più frequenti flashback esplicativi, e collassano definitivamente con l'entrata in scena del personaggio di Anna, rivelando così la vera natura del film e la pericolosa ideologia ad esso sottostante.

Io sono leggenda: nel libro di Matheson quest'affermazione era quella di un uomo che si rendeva lentamente conto di essere lui l'eccezione, il mostro, l'anormale, guardato con paura e superstizione dal resto del mondo. Nel film di Lawrence è quella post-mortem di un uomo che invece nega (la sua situazione, la crescente "intelligenza" dei suoi nemici, la fuga che forse potrebbe salvarlo) e che si sacrifica per miope testardaggine patriottica prima e per gesto estremo di eroismo conservatore poi. Abbandonato ogni relativismo, questo Io sono leggenda si fa emblema di una politica che nega le differenze, le crisi, i propri errori e che vuole portare avanti la propria idea del mondo ad ogni costo, non importa quanto questa possa essere minoritaria o dannosa. Una politica esplicitamente teo-con, come confermato dai discorsi religiosi fatti da quella sorta di Madonna laica che è Anna. In quest'ottica risulta chiaro come mai la vicenda sia stata trasportata da Los Angeles a New York, perché siano sparite delle figure fondamentali nel libro di Matheson come Ruth, come mai Robert sia un militare e ripeta più volte "questo è il mio Ground Zero". E anche come mai i vampiri siano stati così radicalmente disumanizzati e perché lo stesso protagonista - in teoria un attento scienziato - non voglia cogliere alcun indizio di evoluzione sociale ed intellettuale dei suoi nemici.

Non importa quanto entertaining ed efficace possa essere in alcune situazioni, Io sono leggenda è un film pericolosamente conservatore, che propaganda apertamente il rifiuto di ogni differenza, ogni forma di confronto, che spinge a vedere solo i lati mostruosi e deteriori dei nostri "nemici", la rifondazione di una società collassata e sotto attacco attraverso la cultura dell'isolamento e dell'integralismo religioso. Negli anni Ottanta l'iperreazionario tenente Cobretti soleva ripetere: "tu sei il male, io sono la cura". Lo spessore e l'orientamento ideologico di Robert Neville e di Io sono leggenda sono assai vicini a quelli di Cobra e del suo protagonista: la cura da lui ricercata nel film non ha il sapore di un rimedio o di una soluzione, ma di un annientamento. Povero Matheson.