Never Ending Man - Hayao Miyazaki: la fantasia che porta all’ossessione

Un ritratto schietto, severo e allo stesso tempo tenero. Un documentario pieno di contrasti che celebra la figura controversa di uno dei più grandi animatori, fumettisti e registi della storia del cinema. Al cinema solo il 14 novembre.

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Si alza il vento, un'ultima folata e poi nemmeno un soffio, quiete, silenzio. Fine dei giochi. Il buon vecchio Hayao Miyazaki saluta, mostra bandiera bianca, e dice addio. Addio, innocenza animata. Addio, creature meravigliose. Addio, eroine fragili e imbattibili. O forse no. Siamo alla fine del 2013, subito dopo la presentazione del suo ultimo volo pindarico cinematografico, ovvero una storia di guerra e di amore, di bombe e di baci. Si intitola Si alza il vento, ennesima miscela di realtà e fantasia degna di ogni grande opera partorita dallo Studio Ghibli, e ha tutte le sembianze del testamento d'autore. Miyazaki si ritira. Miyazaki è stanco, vecchio, arreso alla fatica e al tempo. Il cinema d'animazione porta via energie che il grande maestro occhialuto non ha più, per cui è tempo di ritirarsi. Dopo sarà solo infinita gratitudine per un regista, un fumettista, un animatore, un artista il cui tatto poetico e il cui sguardo pieno di grazie e di innocenza ci hanno regalo film meravigliosi. Miyazaki annuncia il ritiro e il cinema viene subito assalito da una dolce malinconia e da un profondo senso di gratitudine nei confronti delle sue storie impregnate di pura fantasia e di cruda realtà, delle sue eroine sempre in divenire, dei suoi racconti sempre protesi verso il cambiamento e l'evoluzione.

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Parte da un addio Never Ending Man: Hayao Miyazaki, un documentario schietto, severo e allo stesso tempo tenero, che racconta di un uomo incapace di soffocare la sua vocazione, la sua ragione di vita. Attraverso la ricostruzione dei tribolati mesi successivi all'annuncio del ritiro, il documentario sbricia nella vita di Miyazaki, ne spia le cucine asettiche e i fogli sparsi sul banco di lavoro, mentre manifesta l'impossibilità di quell'addio. Il soffio della fantasia gli sussurra qualcosa nell'orecchio. Il vento si alza ancora.

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L'addio errante di Hayao

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C'è un primo aspetto che sorprende nelle riprese sporche di Never Ending Man: Hayao Miyazaki, ovvero l'aspetto imprevedibile dello Studio Ghibli. Facile immaginare un'oasi felice, un ufficio pieno di colori e di vita, e invece no. A fare impressione non è soltanto la desolazione di uno studio ormai spento, legato a doppio filo all'addio del suo fondatore, ma anche l'ordine asettico, il grigiore generale, l'atmosfera simile ad una triste fabbrica del disegno. Quel rigore lo ritroviamo subito anche in Hayao. Nei suoi rimproveri severi e impietosi nei confronti di un giovane disegnatore, nei suoi consigli giusti ("devi disegnare persone, non personaggi") eppure pieni di una fermezza pungente. Never Ending Man: Hayao Miyazaki tratteggia un ritratto stridente con le atmosfere ovattate e sognanti delle opere cinematografiche del maestro, perché ci mostra un uomo ossessionato dalla perfezione, attentissimo ad ogni dettaglio, ad ogni minimo movimento animato, alla ricerca assillante di mani che stringono come si deve, di occhi che si guardano attorno con la giusta innocenza, di espressioni assolutamente convincenti.

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Per questo attorno ad Hayao Miyazaki si crea un'atmosfera di reverenza e di soggezione ben visibile negli occhi dei suoi collaboratori. Perché, in fondo, Miyazaki succhia le energie altrui, si nutre del talento e delle speranze degli altri per portare avanti la sua visione delle cose, una visione che è sua e solo sua. Il suo cinema è frutto di un lavoro collettivo, certo, ma sembra provenire dalla mente ispirata di un genio consapevole di essere unico e insostituibile, alla folle ricerca di un suo clone, magari più giovane e in forze, a cui cedere finalmente il proprio fardello creativo. Così il documentario diretto da Kaku Arakawa ci mostra un errare in lato. "Errare" come un uomo che ha sbagliato a far finta di non avere più niente da dire e da dare; "errare" come moto perpetuo, come inquietudine cadenzata dai passi di un artista che va avanti e indietro nel suo studio alla ricerca delle prossima idea, della prossima scintilla.

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Anime in pena

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C'è una cosa molto importante che non vi abbiamo ancora detto: Never Ending Man: Hayao Miyazaki non è un film per tutti, non è il film che vi farà conoscere l'arte e il cinema di uno dei più grandi registi di tutti i tempi votati all'animazione. No, perché il lavoro di Arakawa è rivolto ai suoi fan, a chi pensava di conoscerlo attraverso le sue opere e magari scopre per la prima volta sfumature agrodolci e allo stesso tempo sincere legate al suo creatore. Il documentario, con uno stile sin troppo grezzo ed elementare, che sembra fuoriuscito dagli extra di un'edizione home video, ha il merito di scavare con pazienza nelle paure e nelle contraddizioni di Miyazaki. Un uomo davvero impaurito dall'incombere della morte e dalla vecchiaia eppure aggrappato come un testardo sognatore allo spirito vitale dei suoi mostriciattoli e dei suoi personaggi mai avari di sorrisi; un uomo innamorato del disegno classico, delle mani sporche di grafite e di colori eppure affascinato dalle potenzialità espressive della computer grafica. Never Ending Man: Hayao Miyazaki, infatti, segue anche la fase embrionale di un cortometraggio animato in cgi dal titolo Kemushi no Boro. Passo dopo passo, veniamo presi per mano e messi di fronte alla sua curiosità quasi infantile e alle sue idee inamovibili, alla vertigine provata dinanzi a qualcosa di nuovo e alle perplessità nutrite verso un mezzo freddo come il digitale. Quell'addio, insomma, è solo l'ennesimo dei suoi arrivederci, il preludio ad un nuovo film già in lavorazione. Adesso, però, sappiamo bene che dietro ogni sogno, dietro ogni sorriso e ogni carezza si nasconde lo strazio artistico di un instancabile, severo, ingordo sognatore.

Movieplayer.it

3.0/5