Nero Wolfe: La Rai riporta in TV il personaggio di Rex Stout

Accettando i rischi di una comparazione (improponibile) con lo sceneggiato del 1969, la Rai riporta sul piccolo schermo il personaggio di Rex Stout, affidandosi a un ottimo Francesco Pannofino.

Un'operazione come quella compiuta dalla Rai e dalla Casanova di Luca Barbareschi, consistente nel riportare sul piccolo schermo, 42 anni dopo, il personaggio di Nero Wolfe, si prestava naturalmente a qualche rischio. Se pure, infatti, il corpulento investigatore uscito dalla penna dello scrittore americano Rex Stout non ha la notorietà di massa di uno Sherlock Holmes (che alcune leggende, e versioni alternative della storia, vorrebbero suo padre) resta il fatto che stiamo pur sempre parlando di un soggetto che rientra di diritto tra i classici, un personaggio che gode tuttora di una popolarità e di un affetto che hanno attraversato gli anni e le generazioni: merito innanzitutto dell'enorme corpus letterario di opere dedicate da Stout al personaggio (una settantina tra romanzi e racconti) ma anche dei tanti adattamenti, televisivi e cinematografici, che si sono succeduti negli anni. Tra questi, la memoria del telespettatore italiano meno giovane (o magari di quello che è semplicemente interessato alla TV di quegli anni) va inevitabilmente allo sceneggiato del 1969 interpretato da due giganti della recitazione italiana come Tino Buazzelli e Paolo Ferrari; la perplessità aumenta poi nell'apprendere che gli sceneggiatori di questa nuova serie hanno deciso di spostare l'ambientazione, così caratterizzante per le storie originali, dalla New York anni '30 alla Roma di fine anni '50, immaginando un Nero Wolfe trasferitosi in Italia per contrasti con i federali del suo paese.

Sulla questione della reinterpretazione dei classici, basterà ricordare il già citato esempio di Sherlock Holmes, fatto oggetto recentemente di trasposizioni cinematografiche e televisive (parliamo dei due film di Guy Ritchie e della serie Sherlock) che adeguano ottimamente il personaggio al gusto dei tempi; non si vede nulla di male, quindi, se in un panorama piatto e standardizzato come quello della televisione italiana odierna si cerchi di rivitalizzare (bene) un classico, magari rendendolo accessibile agli spettatori più giovani. L'intento di questa miniserie (sono otto gli episodi previsti) va evidentemente in questa direzione, a partire dalla scelta degli attori protagonisti: Francesco Pannofino e Pietro Sermonti sono non solo una coppia ben affiatata da tre anni di Boris, ma anche due volti noti agli spettatori di quella televisione che fa dei palinsesti (personalizzati) di Sky, e dei modelli della fiction statunitense, il suo terreno d'elezione preferito. Intelligentemente, i due attori evitano di rifare pedissequamente il verso ai loro predecessori televisivi italiani, offrendo tuttavia un'apprezzabile e ironica lettura dei rispettivi personaggi: in particolare, l'innegabile talento di Pannofino offre un'adesione pregevolissima, quasi mimetica, al personaggio creato da Stout, restituendone tutte le proverbiali caratteristiche di misantropia (e di misoginia in particolare), di pigrizia e di simpatico distacco dalle dinamiche della vita sociale. Persino il personaggio interpretato da Andy Luotto, "italianizzazione" del cuoco dei romanzi Fritz Brenner, si rivela simpatico e tutt'altro che stonato nel tessuto narrativo della serie.
La regia di Riccardo Donna cerca, e per molti versi trova, un equilibrio tra le esigenze di un racconto dal taglio classico, in cui le dinamiche dell'indagine sono in primo piano, e un gusto visivo più moderno, spesso ispirato ai prodotti d'oltreoceano: si veda a questo proposito la sequenza iniziale del primo episodio, in cui la ricostruzione, da parte di Wolfe, del delitto avvenuto nella casa che i due protagonisti si apprestano ad occupare, è resa con un rapido montaggio e degli espliciti flashback, che rappresentano la ricostruzione mentale degli eventi da parte del protagonista. Al di là di questo, va detto comunque che questo Nero Wolfe è principalmente, a prescindere dalla regia dei singoli episodi, un lavoro di scrittura e recitazione: se della seconda già si è detto, sulla prima possiamo sottolineare il buon lavoro del team di sceneggiatori (capitanati da Piero Bodrato) nel mantenersi fedeli alla struttura dei romanzi originali, gestendo inoltre bene il cambio di ambientazione, con quella giusta quantità di colore "locale" indispensabile per una storia ambientata nella Roma degli inizi del boom. La stessa figura della giornalista Rosa Petrini (interpretata da Giulia Bevilacqua) aggiunta ex novo dalla sceneggiatura, viene ben incastrata nella narrazione, oltre a rivelarsi un personaggio simpatico, in grado di mettere maggiormente in luce le caratteristiche dei due protagonisti. Da sottolineare anche una colonna sonora piacevolmente retrò (opera del gruppo La Femme piège) che commenta con gusto un prodotto che, per una volta, potrà forse mettere d'accordo gli appassionati più integralisti (e i nostalgici di una televisione ormai lontanissima) e coloro che, dalla fiction televisiva, si aspettano soprattutto ritmo e storie che valgano la pena di essere raccontate.