Recensione Castaway On The Moon (2009)

Il curioso film di Lee Hey-jun, bizzarra favola metropolitana dal tocco stralunato e leggero, è la storia dell'incontro tra due solitudini, quella di un insolito naufrago e quella di una hikikomori, che riescono a completarsi a vicenda.

Naufraghi d'amore

Nonostante sia incentrato per la gran parte sulla storia di un naufragio davvero insolito, il curioso Castaway On The Moon non ha nulla a che vedere con la mitologia di Robinson Crusoe o con quello del "buon selvaggio", ma nemmeno con la ricerca di un'Arcadia perduta e incontaminata come quella di Brigadoon o (tanto per citare un titolo coreano) Welcome to Dongmakgol. Questo perché l'isola deserta in cui piomba per caso Kim Seong-geun, nel tentativo di suicidarsi dopo aver fatto bancarotta, è in realtà un singolare pezzetto di terra che si trova sotto un ponte del fiume Han, proprio nel cuore dell'area più densamente popolata di tutta Seoul. La solitudine del naufrago Kim è dunque ben strana: nonostante tenti di isolarsi dalla civiltà, in realtà non può proprio fare a meno di essere contaminato dall'invasione della metropoli, che fa sentire la sua incancellabile presenza anche sottoforma di rifiuti e relitti trascinati in spiaggia. Tanto è vero che ben presto i desideri di Kim si incarnano in un prezioso piatto di tagliolini istantanei, di cui giunge a riva una confezione vuota. Il naufrago sarà talmente ossessionato da questo prodotto della società dei consumi da decidere di volerlo ricreare a tutti i costi, anche se l'impresa richiederà mesi e mesi di preparazione. Altro che Robinson Crusoe...

Esiste nel film però anche un'altra "metà della Luna": una ragazza, anche le di nome Kim, che vive in una condizione di isolamento, anche se le caratteristiche del suo esilio sono un po' diverse. La signorina Kim è infatti una hikikomori, vale a dire un individuo che ha deciso di non uscire più dalla sua camera, comunicando con il mondo esterno solo attraverso Internet. La sua segregazione dalla società è dunque voluta (e non casuale come quella di Kim Seong-geun), ma è al tempo stesso del tutto dipendente dalla tecnologia e dai prodotti di consumo. Si tratta di due forme d'isolamento complementari, di due facce della stessa medaglia (o meglio dello stesso pianeta...), alimentate però entrambe dalle medesime motivazioni: la perdita della speranza e l'impossibilità di comunicare con i propri simili. L'unico modo perché i due Kim possano uscire dalla loro prigionia è quindi quella di entrare in contatto tra loro e di far leva sull'aiuto e il conforto reciproco.

È in fondo una semplice storia d'amore quella raccontata dal regista Lee Hey-jun, che già con la sua opera prima Like a Virgin aveva posato lo sguardo su personaggi disallineati e "alieni" rispetto alla cultura dominante. Una bizzarra favola metropolitana, raccontata con uno stile eccentrico e ricco di momenti comici, che però poggia al tempo stesso le basi su un retroterra sociale molto concreto: i disastri della crisi economica e della bolla speculativa finanziaria (particolarmente ingenti in Corea del Sud), l'alienazione dell'individuo in una società consumista e ipertecnologica. L'obiettivo di Lee Hey-jun non è però quello di compilare un trattato sociologico o di "fare la morale", ma semplicemente quello di tratteggiare, in modo fresco e senza troppe pretenziosità, il ritratto di due naufraghi dei sentimenti che alla fine trovano la loro zattera di salvataggio. Due cuori e una capanna.