Recensione Posti in piedi in paradiso (2012)

Verdone, in una commedia dalla struttura più corale delle precedenti, racconta l'Italia della crisi da una prospettiva inedita, quella di tre padri separati; narrandoci così quella che è di fatto una storia di miserabili moderni.

Miserabili in paradiso

Ulisse, Fulvio e Domenico sono tre individui molto diversi tra loro, che però hanno qualcosa in comune: tutti e tre padri, tutti e tre separati e tutti e tre vittime di una crisi economica che non risparmia nessuno. Il primo è un ex discografico di successo che ora vive nel retrobottega del suo negozio di vinili, perennemente immerso nel passato, musicale e non; il secondo è un critico cinematografico ora ridottosi a scrivere di gossip, che dopo la separazione con sua moglie è costretto ad abitare in un convitto di suore; il terzo, un ex imprenditore di successo, ora agente immobiliare, che dorme sulla barca di un suo amico, ha il vizio compulsivo del gioco e arrotonda le sue magre entrate facendo il gigolò per ricche ed annoiate signore. I tre uomini finiscono per andare a vivere insieme nel più improbabile dei modi, su proposta di un Domenico che per l'occasione da agente si trasforma (anche) in cliente di se stesso. La convivenza, in un vecchio appartamento romano in cui i cellulari hanno problemi di segnale e la metropolitana sembra provocare un terremoto ad ogni suo passaggio, non sarà esattamente semplice. Eppure, l'arrivo improvviso e in circostanze tragicomiche di Gloria, cardiologa stramba quanto attraente, sembra offrire almeno allo scoraggiato Ulisse una possibile via d'uscita...


Con questo Posti in piedi in paradiso, Carlo Verdone prova ad affrontare il tema della crisi che attanaglia il nostro paese (e le sue ricadute sulla vita delle persone) da un punto di vista inedito. Non più le giovani generazioni sotto i riflettori, quindi, ma piuttosto adulti delusi, confusi e inaffidabili, attaccati a un passato che non esiste più o incapaci di gestire la propria vita nel presente. Incapaci, soprattutto, di recuperare, o anche semplicemente stabilire, un rapporto con dei figli che ci vengono programmaticamente presentati come più equilibrati di loro. Il dramma dei padri separati, della lontananza dai figli, della forzata separazione da quegli affetti che, a differenza dei disastrosi matrimoni che accomunano i tre protagonisti, restano scolpiti nella pietra e nel sangue, va a innestarsi sul tessuto di una crisi economica che crea con esso un mix terribile: la pura sussistenza diventa ardua, avere un piatto da mangiare non è più scontato, la tentazione di azioni criminali è sempre dietro l'angolo (e a volte oltre). In una scena, il personaggio di Ulisse, interpretato dal regista, parla con la sua amica Gloria e dice testualmente "noi siamo i nuovi miserabili". Lo dice a Parigi, là dove Victor Hugo muoveva i suoi primi passi nella letteratura, in quella Francia solo apparentemente immune dalla crisi, in cui Robert Guédiguian ha ambientato il suo recente, e per certi versi affine, Le nevi del Kilimangiaro. Chissà se Verdone l'ha visto, e cosa pensa del fatto che due registi così diversi, pre e oltralpe, abbiano deciso di raccontare, a loro modo, una storia di miserabili moderni.

Posti in piedi in paradiso è comunque, dichiaratamente e inevitabilmente, una commedia. Una commedia più corale delle precedenti dell'attore/regista romano, in cui quest'ultimo accetta di buon grado (e con un coraggio che gli va riconosciuto) di farsi spesso da parte e lasciare la scena a due ottimi comprimari come il prolificissimo Pierfrancesco Favino e il

mattatore naturale Marco Giallini. Le parti più riuscite del film sono proprio quelle che vedono l'interazione dei tre nel vecchio appartamento preso in affitto, con il fatalistico pessimismo di Ulisse, la costante frustrazione e il nervosismo del Fulvio interpretato da Favino, la cialtroneria che nonostante tutto strappa risate di un Domenico che si rivela una "maschera" di approfittatore e arraffone perfettamente riuscita. Si ride a vedere le tragicomiche disavventure dei tre, e si ride anche quando fa il suo rocambolesco ingresso nella casa la Gloria interpretata da Micaela Ramazzotti. E' arguta, la sceneggiatura, quando delinea i tre personaggi, le loro idiosincrasie e (in parte) il loro background, compreso quello di un Fulvio attraverso il quale il regista getta un ironico sguardo sul mondo della critica cinematografica. Paradossalmente, però, Verdone appare meno convinto nel momento in cui alza il tiro e prova davvero a raccontare i miserabili moderni, con tutto il portato del loro vissuto, e le loro esistenze già segnate: un po' viziati da stereotipi i rapporti dei tre personaggi con le rispettive famiglie, un po' risaputa la stessa relazione tra il protagonista e la solare e svampita Gloria, un po' nell'ombra il passato da imprenditore di un Domenico che appare, piuttosto, come un personaggio che la cialtroneria (pur simpatica) ce l'ha nel sangue.

La sceneggiatura, un po' disunita, vive di alti e bassi, e le ottime intenzioni del suo autore non sempre trovano una conferma nello svolgersi di una vicenda che rischia spesso, e a volte

cade, sul fronte della credibilità. Resta comunque, in questo Posti in piedi in paradiso, un'ottima alchimia tra i tre interpreti principali, l'apprezzabile tentativo di Verdone, dopo tanti anni di istrionismo, di offrire una prova più misurata (se non proprio intimista) e il tentativo di ritorno, da rivedere e verificare, a una commedia dai toni più malinconici e dai temi ancorati alla realtà. Il bel finale, intelligentemente ottimista senza per questo risultare poco credibile, lascia comunque un buon sapore in bocca all'uscita della sala, e offre buone indicazioni, in questo senso, per il futuro.

Movieplayer.it

3.0/5