Recensione White Oleander - Oleandro Bianco (2002)

Michelle Pfeiffer nell'insolito ruolo di "cattiva" nel film di Peter Kosminsky, White Oleander, tratto dall'omonimo libro della scrittrice americana Janet Fitch.

Michelle, bella e pericolosa

L'oleandro bianco è una pianta velenosa, bastano poche gocce del suo estratto per uccidere un uomo, ma anche l'amore può essere velenoso, perfino l'amore di una madre verso la figlia, quando questo amore è possessivo, esclusivo e tende ad isolare la ragazza dal resto del mondo per poterla dominare.
Ingrid, Michelle Pfeiffer, è un'artista innamorata soprattutto di se stessa e della sua bellezza, nessuno deve offendere il suo amor proprio e se l'amante la tradisce non esita ad avvelenarlo, con un infuso ricavato dall'oleandro. Ingrid, per questo omicidio, finisce in prigione, mentre la figlia Astrid, interpretata da Alison Lohman, inizia il suo pellegrinare, attraverso istituti per minorenni e improbabili affidatari, un percorso duro che però servirà ad Ingrd per affrancarsi dall'abbraccio mortale della madre.

White Oleander - Oleandro Bianco è il primo film del regista inglese Peter Kosminsky, è un film al femminile, nel senso che le donne sono al centro del film, gli uomini sono quasi del tutto assenti e, quando compaiono, riescono a fare solo danni.
Il film, bisogna dirlo, si regge tutto sulle buone prove delle attrici.
E, a questo proposito, è obbligatorio parlare di Michelle Pfieffer, mai così cattiva, mai così stupendamente gelida. Ingrid è una donna che ha messo da parte i sentimenti, che usa la sua bellezza e la sua forza interiore per piegare il prossimo, per coglierne i punti deboli e poi colpire, come fa con Claire, la brava Renée Zellweger, a cui era stata affidata Astrid e che Ingrid spinge al suicidio. La Pfeiffer supera brillantemente la prova di questo suo primo vero ruolo da "cattiva" tanto da far scrivere al New York Times La Pfeiffer, nella prova più complessa della sua carriera cinematografica, rende la sua divina seduttrice, irresistibile e diabolica allo stesso tempo.
Astrid è interpretata dalla giovane Alison Lohman, brava nel mostrarci la fragilità di una ragazza che subisce il rapporto con la madre tanto da arrivare a dire nelle prime battute del film L'ultima volta che mi sono sentita al sicuro è stato con lei, anche se è una persona così pericolosa, ma che nello stesso tempo capisce che l'amore è un'altra cosa per cui finisce per aggrapparsi a qualsiasi figura finendo però per travolgere anche i nuclei familiari ai quali viene affidata.

Il film decolla veramente soprattutto quando madre e figlia sono contemporaneamente in scena, per il resto subisce dei momenti di notevole calo sfiorando il melodramma, come quando seguiamo Astrid nei suoi diversi affidamenti. White Oleander si chiude con la stessa Astrid che mette definitivamente da parte il suo passato che lei ha rappresentato in tante valige, ognuna delle quali è un pezzo del suo passato.
Il film comunque, grazie anche alla presenza di attrici di rilievo, avrà, probabilmente, il consenso del pubblico, anche se risulta essere un film decisamente monco. Poco spazio è stato dedicato all'introspezione psicologica dei personaggi, poco è spiegato dei motivi che hanno portato Ingrid ad essere una cinica madre ed assassina, poco chiarificatore in questo senso risulta essere il dialogo finale tra madre e figlia che lascia numerosi interrogativi a chi sta dall'altra parte dello schermo; tutto è lasciato - non sappiamo quanto volutamente - alla libera interpretazione dello spettatore.
C'e da dire, infine che il film è tratto dall'omonimo best seller di Janet Fitch, che ha riscosso molto successo negli Stati Uniti ed è stato tradotto in diversi paesi, un libro che, ad onor del vero, il film non ci ha fatto venir voglia di leggere.