Michael Mann: un autore di genere

Mann crea e trasforma la materia filmica attraverso una ricerca rigorosa, densissima; fuori dai tempi e fuori dallo spazio. Alla ricerca dell'uomo.

"Non c'è niente in Manhunter - Frammenti di un omicidio, o in qualsiasi altro film di Michael Mann, che sia solo una bella fotografia fine a sé stessa. Quello su cui si concentra è la trasmissione di una particolare atmosfera. Che sia felicità, illusione, disillusione, amore, romanticismo, tensione o paura; ogni inquadratura, ogni movimento od angolazione ed ogni pezzo di montaggio è studiato per trasmettere quel particolare momento nel modo più esatto."

Con queste parole, estratte dagli extra di Manuhnter, il grande direttore della fotografia italiano Dante Spinotti, (al suo primo film americano, prima di un lungo e fruttuoso sodalizio proprio con Mann) definisce l'approccio al cinema dell'ideatore di Miami Vice. Un modo di fare, intendere e sentire cinema, il suo, che non può lasciare indifferenti, non solo per la sua indiscussa maestria tecnica, ma soprattutto per lo strabordante umanesimo di cui si nutre il suo cinema. Mann crea e trasforma la materia filmica attraverso una ricerca rigorosa, densissima; fuori dai tempi e fuori dallo spazio. Alla ricerca dell'uomo e mai della forma perfetta. Annoverare Mann tra i registi formalisti significa non aver capito nulla del suo cinema. Il meticoloso lavoro sulla messa in scena e sulla composizione dell' inquadratura (che in Miami Vice raggiunge vertici di pregnanza sbalorditivi), come l'uso simbolico dei colori, (basti pensare ancora a Manhunter) e il maniacale controllo di ogni singolo dettaglio hanno una funzione che va ben oltre l'estetismo e la cura formale. Tutto in Mann, dagli estremi sperimentalismi digitali, al gigantismo dei suoi affreschi, all'affilatissimo montaggio è in funzione della narrazione. Non c'è spazio per inquadrature accattivanti, angolazioni esasperate, dialoghi ammiccanti o sopra le righe, scene madri didascaliche atte a spiegare al pubblico qual'è il nucleo drammaturgico e morale del film. Tutto è calibrato sugli umori umani. Il resto è superfluo.

Tutto ciò per ribadire quanto Mann rappresenti una personalità cinematografica fortemente distinta e caratterizzante; un autore estraneo alla sua formazione generazionale sia nel modo di intendere il cinema sia per la modalità di espressione dei suoi contenuti. Più vicino a Kubrick piuttosto che ai suoi colleghi contemporanei, sui tutti i fratelli Scott, con i quali condivide la provenienza accademica (Inghilterra) e la competenza tecnica, ma non la fascinazione glamour. Un autore di genere, si evidenziava nel titolo, in quanto: è chiaramente il cinema di genere lo strumento od il riferimento con cui Mann si confronta (dal poliziesco al noir, dal thriller al western). Eppure, non esiste suo film in cui non siano rintracciabili tematiche e significazioni costanti e imprescindibili: come l'eroismo romantico e fuori dal tempo dei suoi personaggi, sempre in fuga alla spasmodica ricerca di una qualche sorta di conciliazione, verso l'amore o la pace, lontani dalle coercizioni dell'esistente. Un cinema in cui al centro c'è sempre l'uomo e le sue imprenscindibili tensioni.

E' soprattutto in ragione di questo e in virtù della sua ricerca formale che Mann è più vicino ai grandi cineasti usciti da quella strepitosa palestra che fu la Nuova Hollywood, Brian De Palma e Martin Scorsese su tutti. Fatto esponenzialmente sorprendente se consideriamo la sua provenienza dal mondo delle serie tv (Miami Vice e Starsky & Hutch) e dallo strapotere della nuova estetica patinata imposta dal mainstream che ben poco si conciliano con un cinema complesso, ricercato e fortemente dedito alla caratterizzazione dei personaggi. Eppure Mann continua inarrestabile per la sua strada, superando anche questi modelli, perchè mentre Scorsese e De Palma si fermano, abbandonandosi a un elegante e algido classicismo che lascia fuori campo il racconto umano (vedasi The Aviator e Black Dahlia) Mann firma - ma dovremmo dire filma - con Miami Vice un'opera sconvolgente sul cambiamento del sentire e del vedere

A cercare ulteriori analogie si scorge nel cinema di Mann un'evoluzione del poliziesco che va da Don Siegel, all'epurazione dagli eccessi iperrealisti operata dal William Friedkin e John Frankenheimer. Interessante a questo proposito è l'affinità stilistica ed atmosferica coon quel capolavoro in anticipo sui tempi che fu Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, quasi contemporaneo con Manhunter, con il quale condivide anche l'attore principale. Cinema ancora una volta di uomini e situazioni, dubbi e decisioni da prendere. Come in Don Siegel, dai tempi di Strade violente, all'affresco Heat - La sfida, Mann sembra sempre partire da una storia semplice, per poi relegarla sullo sfondo e dedicarsi a numerosi sottotesti paralleli che padroneggia con grande maestria. E' così che il suo cinema accelera, si ferma, si dilata, moltiplicando all'infinito i segni che lo producono, pronto a sviscerare i turbamenti e i malesseri dei suoi personaggi.

"Un cinema che, in tempi in cui si sente sempre più spesso decretata la fine della supremazia della vista nella gerarchia degli organi di senso, vuol essere un'indagine sul potere dello sguardo di trapassare la scorza delle cose e di donarci la possibilità di cambiare la percezione del mondo". Questo è quanto, nelle parole di Alessandro Borri, (autore di un saggio sul regista, intitolato semplicemente Michael Mann) al quale non possiamo che accodarci.