Roma 2016: Matt Dillon, “In un film cerco sempre l’autenticità”

L'attore americano è Presidente della giuria del Premio Camera D'Oro Tao Due per la miglior opera prima e seconda nella sezione parallela della Festa del Cinema di Roma, Alice della Città. Un ruolo che sembra stargli stretto: "E' molto difficile giudicare", dice all'incontro con i giornalisti a Roma.

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È diventato attore quando era ancora un ragazzino, l'icona dell'adolescente ribelle se l'è guadagnata con i due ruoli che Francis Ford Coppola gli affidò ne I ragazzi della 56a strada e Rusty il selvaggio. Ed è una curiosa coincidenza che oggi, a 52 anni, una nomination all'Oscar nel 2004 per Crash - Contatto fisico e qualche film più tardi, Matt Dillon si ritrovi a presiedere la giuria del Premio Camera D'Oro Tao Due per la miglior opera prima e seconda, in Alice nella Città, la sezione parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata ai più giovani.

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Non sono mai stato presidente di nulla. Giudicare è un compito enormemente difficile

Un ruolo in cui forse non riesce a trovarsi propriamente a suo agio: "È enormemente difficile confrontare diversi artisti tra loro, ma purtroppo è ciò che devo cercare di fare come presidente di giuria. Non sono mai stato presidente di nulla - ci spiega all'incontro con i giornalisti - ma so meglio di chiunque altro quanto sia difficile giudicare, ragionare in termini di concorso e decidere se un lavoro è migliore di un altro, anche se alla fine bisognerà comunque scegliere. Come attore e regista so quanto sia difficile realizzare un film, ma anche giudicare non è facile".

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In un film dice di cercare sempre l'autenticità e definisce "ottimo" il livello qualitativo delle opere viste. Poi racconta scherzando: "Quando mi hanno proposto per la prima volta di essere presidente di giuria, ho accettato perché non lo avevo mai fatto. All'inizio mi avevano detto che si sarebbe trattato di giudicare otto film, quindi dissi subito sì, anche se poi diventarono dodici; avevo anche evitato altre proposte perché non volevo trascorrere le mie giornate chiuso in una sala. Mi è successo ad esempio per un festival in Brasile, dove l'ultima cosa che avrei voluto fare era chiudermi tutto il tempo in sala nel mezzo dell'Amazzonia. Qui sto imparando molto".
Ama Roma tanto da tornarci appena può e non gli dispiacerebbe "lavorare in Italia perché ci sono grandi talenti, ma non ho progetti nell'immediato futuro", glissando le voci su un suo possibile film con Ferzan Ozpetek: "E' inutile parlare di cose che non stanno succedendo".

Il ritorno alla regia

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Ad aspettarlo invece c'è il suo ritorno alla regia quattordici anni dopo City of Ghosts, un documentario sul cantante afrocubano Francisco Fellové Valdes: "E' passato molto tempo dal mio primo film da regista e non perché non lo trovi entusiasmante, anzi mi piace lavorare con gli attori ed esplorare tematiche che mi appassionano, ma perché quando sei un attore e continui a fare il tuo lavoro non ti senti mai costretto a riprendere in mano la macchina da presa. Dillon poi continua il suo ragionamento: Mi piace però esplorare tematiche che mi appassionano ed è il motivo per cui sto lavorando su un documentario, El gran Fellove, sul primo cantante jazz cubano. Avevo già girato del materiale nel 1999 mentre lui incideva un disco, ma non lo avevo mai usato fino a quando tre anni fa non ho deciso di riprendere in mano questo progetto e esplorare il tema della musica in maniera diversa".

Matt Dillon in una immagine tratta dal film Factotum
Matt Dillon in una immagine tratta dal film Factotum

Un uomo nel quale Dillon confessa di riconoscersi molto: "Siamo quello che siamo perché dipendiamo dalle circostanze della vita. Pur non parlando di me El gran Fellove è molto personale perché mi identifico parecchio con la figura di quest'uomo nato povero e nero in un'epoca in cui vivere a Cuba era molto difficile e che tuttavia è riuscito a superare enormi difficoltà e avversità. È per questo che si è meritato l'appellativo di 'el gran Fellove'; era una persona molto modesta, ma quando cominciava a cantare veniva fuori tutta la sua grandezza. La sua storia ci permette di non dimenticare l'importanza delle nostre origini".
Essere attore? La fortuna più grande che potesse capitargli, senza dimenticare le proprie origini: "Sono stato molto fortunato ad aver vissuto la vita che ho vissuto, a fare un lavoro che amo e a non ritrovarmi schiavizzato in un mestiere senza sbocchi e che avrei odiato. Ma dobbiamo sempre ricordarci il viaggio che abbiamo compiuto evitando i confronti con gli altri: io stesso sto molto attento a non fare confronti tra me e altri attori".