Recensione Chaos Theory (2007)

Chaos Theory risulta un prodotto decisamente gradevole, seppur non privo di imperfezioni, che non teme di far leva sul sentimento dimostrando come il caos non sempre sia necessariamente negativo, ma che talvolta liberarsi di schemi e preconcetti può portarci a scoprire aspetti del reale di cui neppure si sospetterebbe l'esistenza.

Love & caos

Cosa accadrebbe se un orologio regolato dieci minuti indietro vi facesse perdere il traghetto proprio il giorno in cui dovete tenere un'importante conferenza sulla gestione del tempo? Sarebbe una grossa seccatura. E se a regolare male l'orologio fosse stata vostra moglie? Allora la vostra vita precipiterebbe nel caos. A verificare sulla propria pelle questo sillogismo è il povero Frank Allen, padre e marito modello, ossessionato dall'ordine e dalla precisione, la cui placida esistenza viene turbata da un concatenarsi di eventi scioccanti inaugurati proprio dal traghetto perso per una manciata di secondi. Partendo dall'assunto che un fatto apparentemente insignificante è sufficiente per sconvolgere una vita pianificata nel dettaglio, Marcos Siega sfida la sensibilità del pubblico cinematografico, in particolare di quello americano, realizzando con Chaos Theory uno strano oggetto il bilico tra commedia e dramma. Questa scelta di mescolare i generi è dovuta sia alla natura catartica della sceneggiatura, scritta da Daniel Tapliz in un momento particolare della propria esistenza, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore, che ha scelto la via della metafora per esprimere lo smarrimento successivo alla scoperta della malattia senza indulgere nel patetismo, sia dalla volontà della produzione di spingere sul pedale del comico per trattare una vicenda di per sé piuttosto drammatica.

Marcos Siega non è un mago della macchina della macchina da presa, ma è un regista di attori e di sentimenti e non ne fa mistero. Le riprese tendenzialmente statiche e le angolazioni classiche evitano di attrarre l'attenzione dello spettatore su qualcosa di diverso dai personaggi e dalla sceneggiatura che, soprattutto nella prima parte, ci regala momenti di rara ilarità. L'incipit ambientato nel presente, con l'irresistibile dialogo tra Frank e il futuro marito della figlia, crea immediatamente un mood da commedia brillante fatta di fulminei scambi di battute che purtroppo nella seconda parte, andando di pari passo con il precipitare degli eventi, tende a diradarsi. Alla comicità verbale si aggiunge quella fisica che ci offre momenti degni di uno slapstick (da tenere d'occhio la partita di hockey in cui Frank decide di "invadere" il campo in tenuta adamitica o il confronto finale tra Frank e l'amico Buddy sulla barca in mezzo al lago) legati alle disavventure in cui incappa il protagonista, interpretato da Ryan Reynolds.

La decisione di affidare all'attore canadese il ruolo di Frank Allen non è stata affatto pacifica. Siega ha dovuto lottare a lungo con la produzione che riteneva Reynolds poco duttile, visto che l'attore fino ad ora non si era mai cimentato in ruoli drammatici, e perciò inadatto a interpretare un uomo le cui certezze crollano da un momento all'altro. Alla fine Siega pare aver avuto ragione visto che la performance di Reynolds funziona e la sua presenza sullo schermo appare tanto convincente da perdonargli perfino l'eccesso di smorfie che si intensifica nei momenti più drammatici del film. Al suo fianco Emily Mortimer appare, come sempre, deliziosa mentre Stuart Townsend viene sacrificato al ruolo di spalla comica del protagonista, il belloccio un po' ottuso Buddy, e per interpretare un personaggio in cui probabilmente fatica a riconoscersi tende a rifugiarsi nei cliché finendo col risultare poco convincente. In fin dei conti Chaos Theory risulta un prodotto decisamente gradevole, seppur non privo di imperfezioni, che non teme di far leva sul sentimento dimostrando come il caos non sempre sia necessariamente negativo, ma che talvolta liberarsi di schemi e preconcetti che ci condizionano può portarci a scoprire aspetti del reale di cui neppure si sospetterebbe l'esistenza. In quest'ottica ha senso anche concludere quella che sostanzialmente è e resta una commedia con un finale conciliante, senza temere troppo le critiche dei detrattori dell' happy ending. In fondo alla fine ciò che conta, come spiega Frank Allen al futuro genero, è solo l'amore.

Movieplayer.it

3.0/5