Recensione La donna perfetta (2004)

Il regista Frank Oz si allontana dall'atmosfera thriller fantascientifica dell'opera del 1975, ma preferisce confezionare una commedia estremamente banale nella struttura e vuota nei contenuti, ma costellata di gag a tratti irresistibili.

Lontano dalla perfezione

Ancora vittima di una forte carestia di plot originali, il cinema Hollywoodyano continua a rivangare nel passato e questa volta ci ripropone una versione per così dire aggiornata de La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes, o forse sarebbe meglio dire che prende semplicemente spunto dal romanzo di Ira Levin da cui era tratto anche il film del 1975. Affidandosi ad un cast sulla carta eccellente e di sicuro richiamo al botteghino, il regista Frank Oz (In & Out, The Score e soprattutto la voce originale dellla Miss Piggy e molti altri personaggi dei Muppets nonché dello Yoda della saga di Star Wars) si allontana dall'atmosfera thriller fantascientifica dell'opera di Forbes e preferisce confezionare una commedia estremamente banale nella struttura e vuota nei contenuti, ma costellata di gag a tratti irresistibili.

Se la storia rimane fondamentalmente invariata nel seguire le vicende di Joanna e il marito Walter che, dopo aver lasciato la grande città per andare a vivere nella fin troppo pacifica Stepford, scoprono che tutte le mogli apparentemente perfette e obbidientissime alle loro metà sono in realtà tali solo perché sostituite da cyborg, questo La donna perfetta cambia, come già detto, nei toni della narrazione molto più leggeri e naif rispetto alla prima versione cinematografica, ma soprattutto dimostra una vena molto meno critica e corrosiva: se nel film di Forbes, e quindi nel romanzo di Levin, il dito era puntato sul fenomeno, allora sicuramente più attuale, dell'emancipazione femminile e sulle sue conseguenze devastanti sul "mondo degli uomini", qui un minimo di spirito satirico può essere ritrovato solo nella parte iniziale in cui vengono portati all'eccesso (o forse no?) gli ormai popolarissimi reality show, riuscendo così a strappare qualche risata ma di certo nessuna riflessione particolarmente profonda.

Ma non è certo la mancanza di profondità il vero problema del film di Oz, ma piuttosto una totale disarmonicità tra le due anime del film, quella puramente comica e grottesca e quella fiacca e sconclusionata che vorrebbe tendere al mistery/thriller. In questo senso anche la sceneggiatura risulta più che mai disomogenea alternando momenti imbarazzanti ed enormi buchi nell'intreccio centrale ad alcuni dialoghi molto arguti, ben sottolineati da alcune interpretazioni più che discrete: Oz inserisce delle simpatiche trovate (come i titoli di testa o le continue citazioni a personaggi e situazioni famose) o si affida alla coloratissima scenografia per cercare di mascherare gli evidenti limiti dello script, allo stesso modo elargisce poco spazio a tutta la parte finale della storia, preferendo dedicare maggior tempo agli scintillanti Bette Midler e Roger Bart che fanno da spalla ad una misurata Nicole Kidman e che insieme ad un'inedita Glenn Close ci regalano i momenti migliori del film; momenti che, è giusto precisarlo, per chi cerca solo qualche momento spensierato possono anche valere il prezzo del biglietto.

Per chi invece cerca qualcosa di più, non si possono ignorare le risibili vicissitudini che portano alle sequenza finali o le mediocri interpretazioni di Matthew Broderick e Christopher Walken, così come la inevitabile banalizzazione di un soggetto tanto famoso quanto brillante. Preparatevi dunque ad incontrare le Hollywood Wives.

Movieplayer.it

2.0/5