Lo sguardo di Spielberg su Monaco

Nell'affrontare l'attentato terroristico del 72 a Monaco, Spielberg ha seguito il suo personale approccio emotivo alla vicenda, concentrando la sua attenzione sull'effetto che quella tragedia ha prodotto sugli uomini che l'hanno portata a compimento.

Era il Settembre del 1972 e si era nel pieno dei Giochi Olimpici estivi di Monaco, di quelle che sarebbero dovute essere le Olimpiadi della Pace e della Gioia.
All'improvviso, un commando di estremisti palestinesi conosciuto con il nome di Settembre Nero ha invaso il villaggio olimpico uccidendo due membri della squadra olimpica israeliana e prendendone in ostaggio altri nove. Era un attacco terroristico senza precedenti, seguito in diretta da novecento milioni di spettatori in tutto il mondo.
Per ventuno ore, il mondo ha assistito inerme agli eventi di Monaco, terminati con le glaciali, indimenticabili parole del presentatore Jim McKay: "Sono tutti morti".
Tra gli spettatori di quell'evento, c'era Steven Spielberg.
"Ricordo esattamente dove mi trovavo, l'apparecchio televisivo sul quale lo stavo guardando, e come stessi guardando, come tutti, la trasmissione Wide World of Sports, quando l'incidente ebbe luogo", ricorda il regista, che aggiunge: "Ha lasciato su di me un'impressione indelebile, un'impressione che, anni dopo, quando ho visto il documentario One Day in September è diventata ancora più intensa".
Arriva ora nelle sale il film che il regista ha dedicato a quell'evento, a quel ricordo, facendone un thriller basato sugli eventi di Monaco e sulla missione punitiva che ne è seguita, uno dei più coraggiosi e aggressivi piani di assassinio della storia moderna.

Spielberg ha seguito il suo personale approccio emotivo alla vicenda, concentrando la sua attenzione sull'effetto che quella tragedia ha prodotto sugli uomini che l'hanno portata a compimento. Per far ciò, il regista ha voluto alla sceneggiatura il premio Pulitzer Tony Kushner, che ha lavorato su una prima bozza di Eric Roth ispirata al libro Vengeance, del giornalista canadese George Jonas.
Inizialmente, Kushner, che ha ricevuto ampi consensi per l'opera teatrale Angels in America, si è limitato a scrivere degli appunti sulla sceneggiatura esistente, non convinto di voler affrontare un testo cinematografico, ma l'insistenza di Spielberg l'ha convinto ad accettare l'incarico.
Kushner non intendeva affrontare la storia da un punto di vista specifico, e aveva l'intenzione di sollevare degli interrogativi provocatori, piuttosto che cercare di fornire delle risposte e dei giudizi su una storia "piena di paradossi e contraddizioni", su cui "non si sa niente di certo e, molto probabilmente, non lo si saprà mai".
Molte le difficoltà nel creare con profondità i protagonisti del film, a cominciare dal personaggio principale, quello intorno a cui ruota la storia: Avner, che "è il capo del gruppo, anche se non in una maniera convenzionale. Ma come arriva la sua coscienza a turbarsi? Come entra in gioco questa sorta di intersecazione tra la sua etica interiore e il suo istinto di sopravvivenza? E' diventata vieppiù la storia di un uomo la cui morale non gli permette di tirarsi fuori dai guai."
L'Avner di Spielberg porta il volto di Eric Bana, convocato dal regista nel 2003 sul set di The Terminal per valutare la sua partecipazione al progetto. L'attore ha messo grande impegno nello studio del personaggio, documentandosi sia sull'incidente di Monaco che sull'intero conflitto mediorientale. Lo studio ha accresciuto l'interesse per le crisi personali di Avner nel corso dell'operazione, per l'evoluzione del personaggio, che, dice, "Inizia come una persona, ovviamente, molto arrabbiata per i fatti di Monaco. Poi diventa un giovane al quale è stato assegnato un compito veramente schiacciante, che deve imparare molto velocemente come fare il capo. Inizialmente si chiede cosa stiano facendo, ma poi succede qualcosa: si indurisce. Mentre la determinazione del resto del gruppo si indebolisce, a Avner succede il contrario."
Sul set del film si è instaurato un profondo rapporto d'amicizia tra i cinque interpreti principali, che, Bana a parte, sono Daniel Craig, Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler e Ciaran Hinds, provenienti da paesi ed esperienze diverse.

Dal punto di vista tecnico, Munich si avvale della fotografia di Janusz Kaminski, già al fianco di Spielberg per tutti i suoi ultimi lavori, che ha creato uno stile visivo che creasse una mappa del mondo, dando ad ognuno degli otto paesi rappresentati un aspetto diverso, seppur non in maniera vistosa. Infatti, dice lo stesso Kaminski "Tutto quello che succede in Medio Oriente è più colorato, caldo, soleggiato. Ma quando lasciamo questa parte del mondo per Parigi, Francoforte, Londra e Roma i colori diventano più freddi e meno saturi. E anche ognuna di queste città europee ha il suo proprio carattere e i suoi colori".
Lo stesso approccio è stato usato per i diversi assassinii, ognuno visivamente diverso perchè diversa è la condizione dei loro artefici, di volta in volta segnati dagli eventi precedenti.

Girato tra Malta e l'Ungheria, dove Spielberg e il suo scenografo Rick Carter hanno trovato la possibilità di ricreare tutta la gamma di ambientazioni di cui avevano bisogno, da Israele a Cirpo, dall'Italia alla Spagna, passando per la Grecia e la Palestina, Munich ha richiesto la realizzazione di centoventi set.
A completare il cast tecnico, i solito collaboratori fidati del regista americano, dal montatore Michael Kahn al compositore John Williams.

Spielberg ha già affrontati temi storici in film precedenti, da L'impero del sole a Schindler's List e questa volta affronta una storia che solleva questioni fondamentali ed attuali ai giorni nostri.
Il film è arrivato nelle sale americane prima di Natale, in tempo per poter essere incluso nei potenziali candidati ai prossimi premi Oscar di Marzo, le cui candidature saranno rese note a pochi giorni dall'uscita italiana di Munich.