Recensione Across the Universe (2007)

Non è un film indimenticabile Across the Universe, ma ci piace sottolineare quel tentativo così romantico di far sbocciare immagini dalle note che ha portato una brava regista a dipingere sullo schermo, con grande creatività, l'universo dei Beatles.

Let it be love

Chi l'avrebbe mai detto che un giorno note e testi della band più famosa della storia della musica si sarebbero trasformati in vero e proprio cinema. Eppure a pensarci bene quando canzoni già immortali hanno in sé storie, emozioni e personaggi così ben definiti il passaggio alle immagini risulta quasi naturale, anche se un po' di quella magia che le caratterizza deve essere per forza sacrificata, per garantire la necessaria spettacolarità della messa in scena. Across the Universe, terzo film di Julie Taymor che conferma il suo innato talento visionario, è una coloratissima opera rock ispirata a 33 canzoni dei Beatles, messe insieme a tracciare un pezzo di storia americana, attraverso piccole storie d'amore e di amicizia durante quei critici anni '60 di un'America messa in ginocchio dagli scontri di Detroit e dalla follia della guerra in Vietnam. Gli appassionati della musica del quartetto di Liverpool assoceranno subito i nomi dei protagonisti (tra questi Jude, Lucy, Prudence, solo per citarne alcuni) ai pezzi storici scritti da John Lennon e Paul McCartney che sullo schermo si fanno corpo, prendono le voci dei giovani attori che li rivisitano, e danno vita ad un intenso e psichedelico manifesto pacifista che condanna non solo la guerra, ma più in generale tutte le ingiustizie, i soprusi di matrice razzista e le repressioni spietate che umiliano la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, che dovrebbero essere diritti sacrosanti da salvaguardare, ma troppo spesso vengono calpestati. Dobbiamo sempre tirar fuori il nostro peggio, quando tutto quello di cui avremmo veramente bisogno è solamente amore, come recita una delle canzoni del quartetto utilizzate per il film.

Si è colti da nostalgia a guardare quell'epoca così incerta e seducente, in cui le giovani generazioni avevano ancora una coscienza politica che portava all'incontro per manifestare, per far sentire la propria voce, contro le prevaricazioni e i valori truffaldini che distruggevano il paese. E' naturale che il film della Taymor si sleghi dal proprio contesto per assumere caratteri più universali e senza tempo: quando si parla di guerra, di giovani mandati a morire in nome di interessi difficili da comprendere, dietro la maschera ingannatrice del patriottismo, vengono in mente i conflitti di questo nuovo millennio, messi in moto dai piani alti per motivi certamente diversi da quelli ufficiali. La Taymor parla ai giovani d'oggi con il linguaggio della musica e del videoclip che questi sembrano essere più disposti ad accogliere. Il suo però è un film non perfettamente riuscito, che piega la musica dei Beatles alla costruzione di una storia non troppo originale, che torna su temi ed eventi già visti in abbondanza nel cinema del passato (recente o meno) e che perciò non riesce ad espugnare il nostro animo, che in fondo a certe emozioni, a certe azioni ripugnanti, si è già abituato, tanto che quasi non si prova più disgusto di fronte ai manganelli che si abbattono sui giovani che in strada gridano il proprio no alla guerra. Non manca poi la storia d'amore tra i due protagonisti, Jude e Lucy, che crea un pathos, una tensione emotiva volta a fornire energia vitale alla ricostruzione storica, leggermente posticcia, del disastro americano in terra straniera e nelle piazze statunitensi dove scorre il sangue prodotto dalla repressione del bisogno di pace degli idealisti.

Le canzoni dei Fab Four sono certamente l'anima calda della pellicola, e favoriscono la visione di un film che privato di questo immenso patrimonio risulterebbe assolutamente anonimo per ciò che racconta, ma la loro reinterpretazione non sempre è riuscita, soprattutto quando le melodie si fanno troppo tondeggianti, come quando vengono ovattate dalle voci femminili (a parte quella Joplinesca di Dana Fuchs, aggressiva interprete del ruolo di Sadie), mentre convincono quando sono esaltate da interpreti d'eccezione, come i personaggi di JoJo e Sadie che ben rappresentano la musica del quartetto inglese, associando l'anima rock a quella blues, o quando scendono in campo addirittura big della musica come Bono e Joe Cocker.

Come al solito la Taymor riserva un'attenzione maniacale all'aspetto visivo della sua pellicola, con un uso del colore e degli effetti digitali che precisano ogni passaggio, volti a riscaldare o raffreddare l'animo dello spettatore attraverso la manipolazione stravagante dell'immagine. Così si passa da sequenze in cui si cerca forzatamente la poesia (le riprese subacquee dei baci degli amanti) a quelle allucinate che ricordano l'era d'oro delle droghe chimiche (l'intervento strampalato di Bono) ma tutte conservano una verve visiva che colpisce per il suo gusto sempre raffinato. Inutile ragguagliare sulla formula videoclip che assume la pellicola in più parti, che stimolano il nostro sguardo ma peccano di freddezza, mentre strabiliante è il lavoro fatto da Daniel Ezralow per le coreografie, alcune particolarmente geniali come quella della fabbrica di soldatini.

Non è un film indimenticabile Across the Universe, ma ci piace sottolineare quel tentativo così romantico di far sbocciare immagini dalle note che ha portato una brava regista a dipingere sullo schermo, con grande creatività, l'universo dei Beatles. Niente cambierà il mondo, cinema e musica continuano però a rendercelo più sopportabile.