Recensione Running Turtle (2009)

Insolito thriller di provincia che, prendendo spunto da modelli come 'Memories of Murder' e 'The Chaser', si caratterizza per un rifiuto deliberato delle convenzioni del genere, prediligendo una regia minimalista e anti-spettacolare.

Lento pede

Running Turtle è un film lento, placido, che si prende i suoi tempi per tracciare l'evoluzione psicologica dei personaggi. Al contrario di quanto in apparenza possa sembrare, questa caratteristica si dimostra un'insolita virtù per un thriller. L'opera del quasi esordiente Lee Yeon-woo per tutta la prima parte si concentra su un ritratto indolente e misurato della monotona vita in un piccolo paese contadino. Le giornate dell'arruffato e squattrinato detective Jo Pil-seong trascorrono nelle più completa atonia e immobilità, scandite dalla ciclicità e dal tedio di gesti tutti uguali. Trascinandosi dall'ufficio di polizia, in cui non accade mai nulla, al pub in cui va a sperperare tutti i suoi risparmi, passando per il club dell'amico che gestisce scommesse clandestine, Jo Pil-seong non è quello che si definirebbe un agente, un marito o un padre modello.

A scuotere lo stato iperbarico in cui è intorpidita la sua esistenza piomberà all'improvviso un fattore estraneo, una particella impazzita che scatenerà l'entropia all'interno dello statico villaggio. Si tratta di un criminale evaso che, in attesa di fuggire all'estero con un'ingente refurtiva, si è nascosto da uno degli abitanti della cittadina. Per Jo (che si è messo nei guai a causa di una serie di avventate scommesse ed è stato sospeso per tre mesi) diventa una faccenda personale scovarlo. Ci si aspetterebbe che a questo punto si innescasse nella storia il meccanismo del thriller, e il ritmo divenisse più frenetico e serrato. E invece no. La scelta di Lee Yeon-woo è consapevolmente anti-climatica, anti-spettacolare, minimalista: Jo Pil-seong non può trasformarsi tutto d'un tratto in un eroe da film d'azione, prendendo lezioni di taekwondo e risvegliando il suo fiuto da detective. Non è così che funziona. Anche la caccia sarà lenta, impacciata, incespicante, piena di passi falsi. Ma Jo Pil-seong continua imperterrito ad andare avanti, lento pede e con la coriacea cocciutaggine di una tartaruga.

Partendo da uno spunto ormai ricorrente nel thriller sudcoreano (basta considerare titoli più blasonati come Memories of Murder e The Chaser), Running Turtle traccia un'ordinaria storia di riscatto e rivalsa personale, che ha per protagonista un uomo considerato ormai un fallito, in grado però di riguadagnare alla fine la fiducia all'interno della sua famiglia e della sua comunità. Niente di nuovo, dunque, ma lo stile ruvido e scabro del film conferisce un'insolita schiettezza e sincerità alle caratterizzazioni dei personaggi, cui gran parte del merito è comunque da attribuire alla straordinaria autenticità dell'interpretazione di Kim Yoon-suk, considerato ormai il nuovo Song Kang-ho. Contravvenendo in maniera deliberata alle regole del genere, Lee Yeon-woo impiega un'estetica quasi documentaria (macchina a mano, primi piani stranianti) e sembra essere più interessato al contesto ambientale e sociale che all'azione vera e propria.
Il finale, eccessivamente canonico e routinario, rovina un po' le cose, ma permane comunque quel senso di placida lentezza e di attenzione per le piccole cose quotidiane che ammanta tutto il film.