Lei: la sublimazione degli amori impossibili

L'incantevole film di Spike Jonze, premiato con l'Oscar per la sceneggiatura, si prefigura come il culmine di una riflessione del cinema contemporaneo sulla ricerca di un "amore ideale" contrapposto ad una realtà che spesso tradisce le nostre aspettative.

L'eterna domanda sull'esistenza di un "amore ideale", un sentimento in grado di appagare in maniera completa desideri e necessità dell'essere umano, continua ad essere riproposta secondo modalità via via differenti. E mai come negli ultimi anni la tendenza di scrittori e registi è stata quella di problematizzare ulteriormente una questione già di per sé inestricabilmente complessa, respingendo le soluzioni più rassicuranti - gli happy ending tipici della commedia hollywoodiana standard, fin dagli albori del genere, per non parlare del fiabesco "happily ever after" - per adottare un approccio assai meno scontato, capace di indurre dubbi e riflessioni attinenti ad un tema che ci riguarda tutti: la ricerca di una felicità che troppo spesso appare sfuggente e ingannevole. Una felicità vagheggiata anche da Theodore Twombly, introverso e solitario protagonista impersonato da un bravissimo Joaquin Phoenix in Lei, il nuovo film di Spike Jonze, che dopo gli applausi riscossi alla scorsa edizione del Festival di Roma si prepara ad approdare nelle sale italiane, reduce dalla vittoria del premio Oscar e del Golden Globe per la miglior sceneggiatura.

Deeper Understanding

Lei Joaquin Phoenix
Lei Joaquin Phoenix
"As the people here grow colder / I turn to my computer / and spend my evenings with it / like a friend" cantava già nel 1989 (molto prima dell'avvento su larga scala di internet) Kate Bush nel brano Deeper Understanding, rappresentazione dell'amore fra un individuo e un programma informatico. Esattamente quanto accade anche al nostro Theodore in Lei: ancora traumatizzato per la separazione dall'adorata moglie Catherine (Rooney Mara) ed incapace di imbarcarsi in un nuovo rapporto, l'uomo trova un'inattesa valvola di sfogo, nonché una fonte di comprensione e di tenerezza, in un sistema operativo dotato di una propria coscienza, al quale viene attribuito il nome di Samantha, e che gli si rivolge con la voce suadente e carezzevole di Scarlett Johansson. In brevissimo tempo, fra Theodore e Samantha si instaura un vero e proprio ménage: anticonvenzionale, certo, dal momento che lei è pur sempre una "intelligenza artificiale", ma che procede lungo i consueti binari di una vera storia d'amore, e che permette finalmente a Theodore di riassaporare una felicità troppo a lungo accantonata. Ma può esistere un partner ideale, colui o colei che riesce a combaciare alla perfezione con i canoni della nostra personale prospettiva sulle relazioni romantiche? Oppure il suddetto "ideale" appartiene, per l'appunto, soltanto all'universo della nostra immaginazione, e ha bisogno di essere di volta in volta ricalibrato sulla realtà oggettiva dell'esperienza quotidiana? Theodore sembra aver trovato la propria soluzione, più che soddisfacente... almeno fino a quando non scoprirà che neppure un'intelligenza artificiale è in grado di corrispondere in tutto e per tutto alle aspettative - talvolta contraddittorie - di chi porta su di sé le cicatrici delle frecce di Cupido.

Theodore e una ragazza tutta sua

Lei Joaquin Phoenix Amy Adams
Lei Joaquin Phoenix Amy Adams
La malinconia di un personaggio come Theodore, quell'accentuata percezione di una solitudine che si configura come una condizione quasi endemica dell'individuo moderno (il film di Jonze è ambientato in un prossimo futuro, ben poco dissimile dal nostro presente), pare ascrivibile per certi versi a quel più profondo grado di sensibilità che contraddistingue tanto il protagonista, quanto la sua intima amica Amy (Amy Adams), anche lei alle prese con la sofferenza provocata da un matrimonio giunto precocemente al capolinea. Questa accentuata sensibilità, che potremmo definire "intelligenza del cuore", si accompagna alla coscienza che una vera intesa, un connubio sincero e spontaneo fra due "anime gemelle", è tanto preziosa quanto difficile da raggiungere; in particolar modo in una contemporaneità sovrastata da un ineluttabile senso di alienazione, in cui le distanze fra gli esseri umani, per quanto annullate da Facebook e dai computer, da un'altra ottica non sono mai state invece così ampie e incolmabili. E allora, forse la scelta più "comoda" (se non la più giusta) è quella di veicolare il bisogno d'amore verso un rapporto costruito a nostra immagine e somiglianza, e pertanto drammaticamente illusorio, nel suo carattere di effimera perfezione. Come Theodore, che a un matrimonio fallito e ad appuntamenti disastrosi preferisce la dolcezza della voce di un computer. O come Lars Lindstrom, interpretato da un timido ed impacciato Ryan Gosling in Lars e una ragazza tutta sua, graziosa commedia del 2007 diretta da Craig Gillespie e scritta da Nancy Oliver; in cui il protagonista, un giovane disadattato con notevoli difficoltà ad abbattere le barriere della propria emarginazione, decide di presentare ad amici e familiari la sua nuova "fidanzata", una bambola di silicone a grandezza naturale di nome Bianca, che lui considera come un reale essere umano.

L'arte del sogno e la fuga dalla realtà

Ruby Sparks
Ruby Sparks
Ecco dunque che, nell'ambito di un cinema introspettivo e volto all'indagine dei sentimenti, talvolta in chiave realistica, altre in una declinazione più bizzarra e surreale, la fuga ed il rifiuto della realtà diventano il percorso obbligato per chi nutre la speranza di conseguire l'obiettivo della felicità tanto agognata. Una direzione intrapresa, ad esempio, da Gil Pender (Owen Wilson), sceneggiatore di Hollywood in vacanza a Parigi, che a causa di una relazione insoddisfacente con la fidanzata Inez (Rachel McAdams) e di un blocco della propria creatività artistica sceglie di abbandonare un presente nel quale non si riconosce per abbracciare un passato - la Parigi chic e intellettuale degli anni Venti - più consono al suo ideale di esistenza; un ideale che trova una stupenda personificazione in Adriana (Marion Cotillard), affascinante donna francese che farà perdere la testa al povero Gil. Il film, il bellissimo Midnight in Paris del 2011, prosegue ed approfondisce una riflessione del cinema di Woody Allen a proposito dell'instabilità del sentimento amoroso e della felicità personale (una riflessione portata avanti, in anni recenti, anche da pellicole quali Basta che funzioni e Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni). Assai più in linea con il soggetto di partenza di Lei è invece Ruby Sparks, deliziosa commedia a contorni fantastici diretta nel 2012 da Jonathan Dayton e Valerie Faris: la storia di un giovane romanziere di successo, Calvin Weir-Fields (Paul Dano), che all'improvviso, attraverso le pagine di un racconto, riesce letteralmente a "dar vita" alla ragazza dei suoi sogni, l'incantevole Ruby Sparks (Zoe Kazan, anche autrice del copione). Con umorismo ed acutezza, Ruby Sparks ripropone dunque la questione della dicotomia fra un'immaginazione che si adatta in maniera impeccabile alle nostre esigenze, come accade al neo-Pigmalione Calvin, e una realtà in cui, al contrario, non è possibile ricorrere al provvidenziale apporto di una macchina per scrivere dai misteriosi poteri magici.

L'eterno splendore della mente immacolata

Se mi lasci ti cancello
Se mi lasci ti cancello
Non sempre, tuttavia, la fuga dalla realtà a favore di una costruzione fantastica si rivela una soluzione percorribile. Sempre restando nel campo delle commedie americane dell'ultimo decennio, e in particolare entro i confini del cinema indipendente (di sicuro il più florido e stimolante, in quanto ad originalità e capacità di innovazione), altri autori hanno messo in discussione il tema della presunta esistenza e dell'effettiva funzionalità di un "amore ideale" assumendo un punto di vista più consapevole e disilluso, pur mantenendo l'ironia come primaria chiave di lettura nell'analisi del groviglio quasi inestricabile delle emozioni umane. Ad esempio l'apprezzatissimo 500 giorni insieme, diretto da Marc Webb nel 2009, decostruisce la linearità temporale del racconto per mostrare le due diverse facce dell'amore sperimentate dal protagonista Tom Hansen (Joseph Gordon-Levitt) con la sua collega Summer Finn (Zooey Deschanel): l'idillio romantico, quello in grado di farti risuonare le canzoni nella mente, come se ci trovassimo all'interno di un musical; e la cocente, implacabile delusione di un sentimento frustrato e non corrisposto, con tutte le dolorose conseguenze che ciò comporta. Un dolore che si può scegliere di curare con metodi estremi: come accade a Clementine Kruczynski (Kate Winslet), che preferisce lenire le ferite del proprio cuore senza aspettare che arrivino a rimarginarsi in modo naturale, ma "estirpando" tutti i ricordi del suo amore per Joel Barish (Jim Carrey) tramite le rivoluzionarie tecnologie della Lacuna Inc. Il film, ovviamente, è Se mi lasci ti cancello, sceneggiato e diretto da Michel Gondry nel 2004, il cui titolo originale, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, è ripreso dal verso di una poesia di Alexander Pope, Eloisa ad Aberlardo.

"È immaginario, ma non si può mica avere tutto"

Lost in translation
Lost in translation
La coscienza dell'impossibilità di una relazione d'amore che possa aderire appieno ai sogni e alle speranze di un individuo, una coscienza dal retrogusto inevitabilmente amaro, appartiene invece ad un'altra tipologia di personaggi: coloro che decidono di trasformare un desiderio destinato a restare - almeno in parte - inappagato in un altro tipo di sentimento. È il caso di Bob Harris (Bill Murray), attore di mezza età a Tokyo per girare uno spot pubblicitario, e di Charlotte (Scarlett Johansson), ragazza americana trascurata dal marito John (Giovanni Ribisi), nel pluripremiato Lost in Translation - L'amore tradotto di Sofia Coppola, del 2003. Due solitudini, quelle di Bob e Charlotte, che si incroceranno per un breve tratto nel caos alienante della metropoli giapponese, in un incontro puramente platonico che verrà sublimato nella dimensione della vicinanza spirituale e, forse, di un silenzioso rimpianto. Oppure Frances Halladay, ballerina 27enne interpretata da un'irresistibile Greta Gerwig, che nell'ironico e toccante Frances Ha, gioiellino del cinema indie dello scorso anno, sceneggiato dalla Gerwig insieme al regista Noah Baumbach, si autodefinisce "infidanzabile", preferendo riversare il proprio affetto e il proprio ideale di felicità nel rapporto simbiotico con la sua migliore amica, Sophie Levee (Mickey Sumner). Non tanto come una forma di ripiego, in verità, ma piuttosto come la trasposizione di un ideale romantico su un piano differente, ma non per questo meno intenso o importante, come spiega la stessa Frances in uno dei dialoghi più significativi del film: "You look across the room and catch each other's eyes... but not because you're possessive, or it's precisely sexual, but because... that is your person in this life. And it's funny and sad, but only because this life will end, and it's this secret world that exists right there in public, unnoticed, that no one else knows about. It's sort of like how they say that other dimensions exist all around us, but we don't have the ability to perceive them. That's what I want out of a relationship. Or just life, I guess".
Frances Ha
Frances Ha

O in alternativa, infine, c'è chi accetta di abbandonare gli "ormeggi" della realtà per cullarsi nella tenerezza illusoria ma confortevole della fantasia. Seguendo i passi (continuando a citare Woody Allen) della Cecilia impersonata da Mia Farrow in un classico del regista newyorkese del 1985, La rosa purpurea del Cairo, fino a dichiarare con soddisfazione: "Ho appena incontrato un uomo stupendo. È immaginario, ma non si può mica avere tutto".