Recensione E tu vivrai nel terrore - L'aldilà (1981)

L'aldilà, datato 1981, è probabilmente il film manifesto di Lucio Fulci e di un certo modo nostrano di interpretare i generi ??" l'horror su tutti ??" in un periodo storico che ha portato al nostro cinema una celebrità all'estero che oggi giorno, dopo un lungo ed ipocrita oscurantismo, tutti si affrettano a cavalcare e riscoprire.

Le tenebre di Fulci, maestro horror

E tu vivrai nel terrore - L'aldilà, datato 1981, è probabilmente il film manifesto di Lucio Fulci e di un certo modo nostrano di interpretare i generi - l'horror su tutti - in un periodo storico che ha portato al nostro cinema una celebrità all'estero che oggi giorno, dopo un lungo ed ipocrita oscurantismo, tutti si affrettano a cavalcare e riscoprire. Rivedere qualsiasi horror di Fulci, oggi giorno, in pieno periodo di remake, ghost story sonnolente e teen movie dalla confezione glamour e mainstream, fa un certo effetto di sorpresa e di nostalgia, principalmente per il rapporto che il suo cinema riusciva ad instaurare con gli spettatori e per il suo sguardo macabro e visionario.

In un albergo della Louisiana, nel 1927, un pittore accusato di blasfemia viene brutalmente torturato e poi murato vivo da alcune persone, tra pareti sotto le quali sembra nascondersi una delle sette porte per l'inferno. Trascorrono oltre cinquant'anni e l'albergo passa in eredità a Lisa la quale, nonostante una medium la avvisi della maledizione che grava sull'antica residenza, abbandona New York con l'intento di restaurarla e restituirla all'originario splendore. Scettica sull'esistenza del paranormale, Lisa dà inizio ai lavori, aiutata dal giovane medico John McCabe: ma, in breve tempo, iniziano a verificarsi alcuni spaventosi incidenti. I primi a perdere la vita sono un operaio (cadendo da un'impalcatura) ed un idraulico (massacrato da uno zombi insieme alla moglie), ai quali fanno seguito molti altri, mentre sta per avverarsi un'oscura profezia. Unici sopravvissuti alla strage, Lisa ed il dottor McCabe entrano in possesso di un libro in cui è descritto l'orrore degli eventi che verranno e, circondati da una folla di morti viventi, cercano rifugio nei sotterranei dell'albergo, ove trovano il passaggio per l'aldilà ed un'agghiacciante risposta ai loro interrogativi.

Come nei migliori titoli del cinema di arti marziali di Hong Kong (altro genere che per anni ha fatto dell'estro e dell'artigianità il suo credo) l'attesa del combattimento faceva il film, negli horror del periodo Zombi 2, Paura nella città dei morti viventi e L'aldilà appunto, era l'aspettativa e il desiderio di una nuova esplosione gore a dare spessore e forza ai suoi film (che così potevano liberarsi di ogni regola e limite di rappresentazione), senza che questo rilievo li svaluti nella maniera più assoluta. Anzi. Fulci in questo è stato un maestro ineguagliabile, quanto un esempio di onestà e coerenza intellettuale assoluta; altro elemento che lo distanzia enormemente da un presente in cui ricatto e vigliaccheria sembrano essere requisiti necessari nella rappresentazione cinematografica. E' quindi inutile e fuori luogo un'analisi convenzionale del suo cinema, tutta intenta a giudicarne le forme ed i contenuti, rilevandone le sgrammaticature sotto il profilo della narrazione (l'evidente gestione approssimativa di numerosi snodi e raccordi di sceneggiature) e della "precisione" nella messa in scena (l'abuso dello zoom e gli scavalcamenti di campo) piuttosto che analizzarne l'indomita energia ed il potere attrattivo.

D'altronde Fulci, artigiano dall'occhio lungo e dalla grande intelligenza, conscio di alcuni limiti strutturali della macchina produttiva che gli girava intorno, assume non a caso il soprannaturale come cornice di riferimento privilegiata del suo narrare, quasi a volerci dire: perché mai dovrei giustificare maniacalmente l'operato di mostri butterati, morti viventi e forze del maligno? E cosi, con in mano trenta pagine di una sconclusionata sceneggiatura decide di disinteressarsi ancor di più del solito dal mettere in scena una storia accattivante, condita da una serie di spaventi perfettini, e si dedica, coadiuvato dal grande trucco di Giannetto De Rossi, dalle eccellenti musiche del fido Fabio Frizzi e dall'elegante fotografia di Sergio Salvati, alla sovraesposizione di truculenze grandguinolesche di ogni genere (in ordine sparso una incredibile tortura in uno dei migliori incipit che si ricordino, vari occhi cavati dalle orbite, putrescenze, sangue e frattaglie a profusione e la straordinaria sequenza dei ragni assassini) con una cifra stilistica così personale che ne fa volontariamente o no un autore, con buona pace dei detrattori e degli snob.