Recensione Io, Robot (2004)

Il film di Proyas si inserisce nel genere futuristico, più che in quello fantascientifico, in cui la realtà si evolve secondo pensieri utopistici, come avevano fatto scrittori come Orwell e Huxley, ricreando una società in cui si presume vivremo.

Le regole del futuro

Robot, automi, androidi, replicanti, sono stati spesso protagonisti di film, e ci hanno sempre affascinato per questa immagine futuristica che si portano dietro, e quel desiderio di tendere verso la natura e l'anima umana, unico neo del loro status di macchine.

Io, robot, prende spunto da una serie di nove racconti di Isaac Asimov scritti negli anni '40, che fa capo a tre leggi della robotica, fondamento della storia raccontata da Proyas. Un robot non può ferire un umano o permettere che un essere umano sia ferito ; un robot deve obbedire agli ordini di un umano a meno che non siano in conflitto con la prima legge; un robot deve proteggere se stesso salvo che non violi la prima e la seconda legge.

Nel 2035, al'interno di questo mondo invaso da macchine che svolgono lavori umani (ma gli uomini in carne e ossa sono tutti disoccupati?), il detective Del Spooner (Will Smith) è l'unico che diffida dei robot e che considera possibile l'ipotesi di una ribellione alle tre leggi.
La misteriosa morte di un luminare della tecnologia alla US Robotics, azienda stellare produttrice dei robot, sembra essere per Spooner un caso ben più complesso di quanto possa apparire, con la convinzione che l'omicidio sia stato originato da una "macchina" impazzita. Lasciato da solo per l'assurdità della sua teoria, Spooner non si perde d'animo e convince la robopsicologa, la D.ssa Susan Calvin (Bridget Moynahan), razionale fino all'impossibile, a seguirlo nella sua indagine.

Il film di Proyas si inserisce nel genere futuristico, più che in quello fantascientifico, in cui la realtà si evolve secondo pensieri utopistici, come avevano fatto scrittori come George Orwell e Aldous Huxley, ricreando una società in cui si presume vivremo. A differenza di film come Minority Report, A.I. - Intelligenza artificiale, o Blade Runner, lo scontro uomo-macchina è riletto attraverso l'idiosincrasia del protagonista a un "essere altro", qualcosa senza anima, che ha delle accezioni negative solo per la sua non-natura. E' curioso quindi realizzare che Spooner non attenda altro che uno dei robot si ribelli, per dimostrare le proprie ragioni, mettendo in luce la possibilità che qualcosa di meccanico possa prendere le decisioni al di là della programmazione.

Le tre leggi di Asimov sono forse l'elemento più interessante della sceneggiatura, in quanto, oltre ad essere riprese, oggi, da tutti gli studiosi di intelligenza artificiale, segnano comunque un momento importante nell'approccio alla robotica. Per la prima volta infatti si scriveva di robot, non come mostri, ma come macchine che si comportano seguendo delle regole. Io, robot parte, quindi, da presupposti molto interessanti, ma scivola irrimediabilmente, in particolare nel finale, nella sua essenza di blockbuster hollywodiano, che segue il cliché dell'eroe e del cattivo, ed evita un approfondimento appena accennato.

Metallico nei più piccoli dettagli, supportato dalla sfavillante fotografia di James Lassiter, con i suoi azzurri e i suoi bianchi, totalmente differenti dai blu cupi di Minority Report, Io, robot risulta a tratti freddo, con Will Smith che fa il Will Smith, un robot dalla mente umana che ci vuole commuovere, e tanta tanta azione.

Semplicemente un film che diverte, si fa guardare con leggerezza, seguendo le regole, queste sì, dello show business.