Recensione The Great Magician (2011)

L'opera scorre piacevolmente nelle sue due ore, portato avanti dalle performance di un cast stellare; il regista passa dai funambolismi dei combattimenti wuxiapan a sketches demenziali, conditi da dialoghi surreali, trucchi magici e un pastiche di generi ghiotto di riferimenti iconografici e metalinguistici.

Le illusioni rendono liberi

L'arrivo in città di Chang Hsien, maestro illusionista dalle sopraffine capacità, porta una ventata di novità nella città dominata dal generale Bully Lei, un uomo apparentemente pazzo che si dedica soprattutto al suo harem privato e a conquistare l'amore della "moglie numero 7", che lo respinge continuamente. La donna aspetta che il padre venga ritrovato e coltiva ancora la speranza che il suo fidanzato, apprendista di suo padre, torni per liberarla. Dietro l'espressione ammiccante e sicura di sé di Tony Leung, che interpreta Chang, si nasconde proprio l'antico fidanzato in cerca del suo primo grande amore: egli acquista una taverna adibita a teatro dove può esibirsi insieme ai suoi allievi, ed è d'accordo con una squadra di ribelli per liberare Liu Yin e rapire Bully durante uno spettacolo. Ovviamente le cose non vanno per il verso giusto, Bully sfugge casualmente all'attentato e Chang Hsien chiede tempo per capire quale sia il grado di affetto tra lui e la sua antica fidanzata: si fa coinvolgere nella relazione tra loro, divenendo una sorta di Cyrano per Bully e comprendendo come dietro la facciata dispotica, si nasconde un uomo tutt'altro che sanguinario e incastrato a sua insaputa tra le maglie di una cospirazione che rivorrebbe la restaurazione dell'Impero.

L'opera scorre piacevolmente nelle sue due ore, portato avanti dalle performance di un cast di grandi star; il regista passa dai funambolismi dei combattimenti wuxiapan a sketches demenziali, conditi da dialoghi surreali, dai trucchi magici ai un pastiche di generi ghiotto di riferimenti iconografici e metalinguistici. The Great Magician sprizza comicità nonsense e scene cartoonesche, dove ogni tocco di realismo è soppresso in virtù di un compiaciuto gioco al rialzo nell'eccedere verso i confini del fantastico e del magico. Anzi, tale elemento è coniugato a un lato metacinematografico piuttosto marcato sin dall'inizio: il generale Bully vede il film che continua gli eventi che noi vediamo nell'incipit del film e ne commissiona un altro (a maestranze giapponesi) dove recita una delle sue consorti. Inoltre nella sequenza risolutiva, Chang fa proiettare l'immagine "lumièriana" di un carrarmato che avanza verso il primo piano, fino a uscire realmente dallo schermo, guidato da Bully, un omaggio raffinatissimo al grande Buster Keaton e a un cinema dai trucchi molto vicini a quelli degli illusionisti. Difatti, il grande mago Chang Hsien parla della magia negli stessi termini in cui, solitamente, un regista parla del mondo del cinema, ovvero come un mondo in cui le illusioni sopravanzano la realtà, facendo in modo che lo spettatore si perda nel sogno e dimentichi per un po' la sua vita.

Derek Yee, firmando questa gustosa commedia, sembra inserirsi in una riflessione sulle origini del cinema come prosieguo dell'arte magica, che sembra correre sul binario parallelo (ma dalle minori ambizioni) di Hugo Cabret; e ha nel personaggio protagonista di Chiang un illusionista che esprime una filosofia presente nel sottotesto di The Prestige di Christopher Nolan. Il prestigiatore è il regista interno all'opera che seleziona e dirige il suo personale cast, prevedendone la scrittura dei ruoli - si veda, ad esempio, come Chang mette in mano al suo avversario "lo scettro delle 7 meraviglie", facendogli credere di averlo rubato. Infine, alcuni dialoghi si caricano di una forte impronta metalinguistica, visto che i personaggi parlano di quello che è successo, di come è successo e delle possibili motivazioni, quindi riflettendo sul meccanismo narrativo e pensando a possibili sviluppi inaspettati. Come spesso accade in operazioni di questo genere, Yee esalta i cliché e l'intreccio stereotipico, che rimanda anche al western, per giocare liberamente con essi e farli esplodere in un fuoco d'artificio di scanzonato divertimento. E' il dialogo tra finzione, invenzione ludica e realtà a farla da padrone, vista anche l'ambientazione durante i primi anni della Repubblica completamente trasfigurati.
Il duello sui toni della recitazione brillante tra Leung e Lau-sin - senza dimenticare la testarda e affascinante Zhou Xun - finisce in parità ed è anche un autoironico ritorno per una storica coppia del cinema dell'ex-colonia britannica che tante volte ha diviso il set, a partire da celebri show televisivi degli anni 80.