Recensione The Women (2008)

Di uomini non se ne vedono ma, come logica vuole, se ne parla parecchio: è proprio da una tragica quanto fortuita scoperta riguardante un esponente del genere maschile che avranno origine le piccole e grandi vicende di un affiatato gruppetto di amiche.

Le donne, davvero?

Dell'universo femminile si è detto di tutto e di più: le donne sono isteriche, gelose e paranoiche, le donne sono più sensibili e fedeli, le donne devono starsene a casa a badare ai marmocchi, pena il diventare delle zitelle inacidite e colleriche, le donne lavorano il doppio degli uomini e lo fanno pure meglio, le donne non sanno guidare né cambiare una lampadina, ma ognuna di loro ha in sé i geni che la guidano nella gestualità necessaria alla preparazione di una teglia di lasagne. Tanto per completare il quadro delle credenze popolari sul conto del genere femminile, citiamo anche l'ala moderata (ma anche riformista), secondo cui alla fin fine le donne e gli uomini sono pressoché uguali. Sarà per questo che Diane English ha scelto per questo suo esordio alla regia di non scritturare nemmeno un uomo, perché l'uno vale l'altra? Anche se, c'è da dire, di uomini in The Women non se ne vedono ma, come logica vuole, se ne parla parecchio: è proprio da una tragica quanto fortuita scoperta riguardante un esponente del genere maschile che avranno origine le piccole e grandi vicende di un affiatato gruppetto di amiche appartenenti all'alta società americana, chi per propri meriti, chi per matrimoni in tal senso vantaggiosi.

Una manicurista dedita al pettegolezzo sfrenato penserà bene di rivelare a Sylvia, direttrice della testata di tendenza Cachet, che il signor Haines, magnate della finanza, tradisce la moglie con una commessa del reparto profumeria (in gergo, una "spruzzatrice") dei grandi magazzini Saks. Peccato che la moglie in questione sia Mary, la migliore amica di Sylvia, la quale, combattuta tra la consapevolezza che sapere è sempre la cosa migliore e la reticenza a far soffrire l'amica, finirà per confidarsi con le altre due appartenenti alla combriccola: Edie, madre orgogliosa di quattro figlie (e di nuovo in dolce attesa, sperando nel maschio) e Alex, talentuosa scrittrice dedita all'amore saffico con supermodelle che odiano essere definite tali. Per levare le tre dall'imbarazzo, ci penserà di nuovo la manicurista di cui sopra a

spiattellare l'amara verità a Mary, che se in un primo momento sembrerà voler seguire i serafici consigli della madre, che la esorta a lasciar correre l'episodio, dopo l'incontro con la rivale si dimostrerà ben poco disposta al perdono. La bella Crystal non sembra infatti intenzionata a rinunciare alle delizie della sua nuova condizione, a suo dire imputabile, in ultima analisi, al menefreghismo di Mary, e di quelle, come lei, impegnatissime nella carriera, nello shopping e nelle cene di beneficenza, nei confronti del compagno, bisognoso al contrario di attenzioni costanti per mantenere a livelli accettabili l'autostima. Ma per Mary i problemi non sono finiti qui: oltre ad un matrimonio allo sfascio, dovrà affrontare anche il licenziamento dalla casa di moda di famiglia, il tradimento dell'amica Sylvia ed una figlia in crescita per nulla intenzionata a farla entrare nella sua vita.

Nulla da dire, la storia è di quelle che si prestano (e che lo preannunciano scena dopo scena) al riscatto della protagonista dall'abbrutimento fisico, la sterilità intellettuale e l'apatia disillusa dei sentimenti; i personaggi sono simpatici, le loro relazioni scandite dalla familiarità di ricordi e battute più o meno sempreverdi; il cast e l'ambientazione sono patinati al punto giusto, e anche tutti gli altri elementi se ne stanno tranquilli al loro posto: colonna sonora, montaggio e sceneggiatura sono piacevoli, ben bilanciati, insomma standard. Ma forse è proprio questa "normalità" a non convincere appieno della pellicola, a far sì che non si entri mai davvero in empatia con le angosce e le soddisfazioni delle protagoniste. Tutto è verosimile, è giusto, "ci sta", ma forse lo è troppo: è come se l'autrice, volendo trasporre su schermo gli aspetti più grandi e preziosi dell'amicizia, li avesse appiattiti e banalizzati, rendendo la vera comprensione una cosa di tutti i giorni, il saper ridere anche dei problemi più gravi un'ovvietà, il perdono un atto dovuto.

E' questa leggerezza, che rende sì la pellicola più fresca e scanzonata, ma che le toglie anche molta anima, a lasciare interdetto lo spettatore che, in fin dei conti, non può dire di aver assistito ad un brutto spettacolo, ma che si rende conto di stare guardando una fotografia sovraesposta, dove una grande quantità di luce non permette di cogliere le sfumature e le ombre, le quali, in quanto a rapporti umani, fanno spesso la differenza. E a risollevare il tutto dalla mediocrità non valgono nemmeno certi colpi di scena che tanto inaspettati poi non sono ma che, anzi, non sembrano altro che pretesti per voler far sembrare più umane persone che non avevano bisogno di un ulteriore tuffo nell'ordinarietà. Ciononostante, se non si è in cerca di un'esperienza particolarmente illuminante e se l'umorismo sofisticato di Woody Allen, da cui la English sembra a volte

voler prendere esempio, non è troppo nelle vostre corde, non passerete del cattivo tempo in compagnia di Meg Ryan, sempre bella e radiosa come una ragazzina, e compagne, ognuna ben rispondente alla categoria di donna che è chiamata a rappresentare, e magari sorriderete pensando che ai luoghi comuni sulle donne (ma probabilmente anche su tutto il resto) non c'è proprio rimedio.

Movieplayer.it

2.0/5