Recensione Everlasting Regret (2005)

Sottratto di ogni orpello e enfasi drammaturgica, tanto da generare anche nel pubblico più aperto una sensazione erronea di esagerata distanza e di presunto estetismo, Everlasting Regret è in realtà un saggio di cinema che cattura per vie diverse ed impervie.

Lady of Shangai

Non è assolutamente regista dalla facile emozionalità l'hongkonghese Stanley Kwan. La fredda accoglienza che Venezia ha riservato al suo ultimo folgorante melodramma ne è la conferma. Maestro assoluto del genere, il regista di Rouge e Ruan Lingyu sforna ancora una volta una pellicola assolutamente straordinaria, dalla forma elegantissima e destabilizzante allo stesso tempo. Al centro una donna Parallelamente la storia del fotografo che le trasformò la vita. Al loro fianco una serie di personaggi legati, i cui destini verranno prima indagati, poi tracciati da una didascalia necrologica. Tutto intorno la storia di una città: la Shangai del dopoguerra, con le sue fortune e le sue tragedie.

Sottratto di ogni orpello e enfasi drammaturgica, tanto da generare anche nel pubblico più aperto una sensazione erronea di esagerata distanza e di presunto estetismo, Everlasting Regret è in realtà un saggio di cinema che cattura per vie diverse ed impervie. Una messa in scena di infinità bellezza, molto distante dalle esibizioni estetizzanti del più amato Wong Kar-Wai (lungi da questa affermazione l'intento di produrre una puerile disputa). Piani e campi, un grande uso della luce e del fuori fuoco e poco altro, a sottolineare i percorsi esistenziali dei tanti protagonisti.

Il ritmo della narrazione segue in modo perfetto il percorso della protagonista. Donna bellissima e confusa. Di una bellezza che va contro le categoria spazio-temporali ma che non gli impedisce di essere travolta dagli eventi. Incapace di prendere in mano le redini della sua vita, subirà la decadenza del suo presente. Immagine della realtà che la circonda. Poi un ultimo sussulto. La ricerca nuovamente dell'evasione, prima dell'inevitabile autodistruzione. Non c'è tempo per vivere, ne per amare, questo sembra dirci Kwan, sovraintendendo ad un montaggio di rara significanza (affidato al grande William Chang), tutto giocato sulla linea del disordine e dello spiazzamento. Frenesia, confusione come condizione del presente, ma anche immobilità. Biografie umane di grande sostanza, immuni agli sconvolgimenti del loro mondo, in un quadro di abbagliante bellezza.