La violenza pulp di Takeshi Kitano a Cannes

Ritorno alla yakuza per il regista più amato del Sol Levante. In occasione della presentazione del suo Outrage, Takeshi Kitano incontra la stampa a Cannes.

Il regista Takeshi Kitano approda alla Croisette per presentare il suo Outrage, ritorno allo yakuza movie, genere che lo rese celebre agli esordi nel mondo della settima arte. Il film, che racconta una guerra tra clan sullo sfondo di Tokyo, rappresenta per il regista giapponese un ritorno alle origini e, allo stesso tempo, un tentativo di rivoluzione attraverso la rappresentazione di una violenza estrema, condita però col classico humor grottesco, marchio di fabbrica del Kitano style.

Outrage è estremamente violento, pieno di sangue e omicidi. Vi è forse la volontà di rinnovare il genere, tentando allo stesso tempo, di fare una riflessione sulla ferocia del capitalismo e della società attuale?
Takeshi Kitano: Quando ho iniziato a fare il regista giravo pellicole molto violente e tutte le persone con le quali parlavo mi chiedevano il perché di questo ripetersi ossessivo. Allora ho cambiato genere e ho girato film dove non c'era violenza, storie delicate. Le persone hanno iniziato a chiedermi perché nei miei film non c'era più violenza. In realtà io cerco di fare sempre qualcosa di diverso, qualcosa che mi faccia crescere, che non mi permetta di annoiarmi. Se Outrage non avrà successo tornerò a fare film non violenti, ma quello che mi interessa è realizzare pellicole sempre differenti.

Mr. Kitano, quali sono i suoi modelli di riferimento tra i maestri del gangster movie? E cosa pensa del suo connazionale Takashi Miike?
Takeshi Kitano: Mi piacciono i gangster movie della golden era della Toei con Ken Takakura. Quando ero giovane guardavo molti yakuza movie, ma il mio stile è molto diverso da quello classico sia nei movimenti di macchina che nel rapporto coi personaggi. Per quanto riguarda Takashi Miike, è un artista molto prolifico, così ho difficoltà a parlare dei suoi film migliori e di quelli peggiori.

Le organizzazioni criminali sono cambiate nel corso degli anni. Questi cambiamenti hanno influenzato in qualche modo la sua pellicola?

Takeshi Kitano: Quando ho scritto Outrage ho cercato di dar vita a un'opera originale, che stupisse lo spettatore e che dipingesse la violenza in modo inedito, unico. Purtroppo non sono così informato riguardo all'evoluzione interna della struttura delle organizzazioni criminali quindi non saprei come rispondere alla domanda. Quello che posso dire è che ho cercato di fare l'opposto di quello che le regole del genere prevedono, quindi ho scelto attori che non sono soliti recitare in yakuza movie. Ho portato ai produttori una specie di puzzle formato da ruoli e da foto di attori e ho cercato di creare abbinamenti inediti per mescolare le carte, per dare allo spettatore un'immagine diversa rispetto al solito. Credo che il mio metodo abbia funzionato.

Oltre alle influenze più ovvie dello yakuza giapponese, in Outrage si rinvengono influenze del gangster movie americano e in particolare del maestro Martin Scorsese. Sono riferimenti voluti?
Takeshi Kitano: Mi piacciono molto le pellicole di Scorsese, opere come Quei bravi ragazzi. Sono un fan del genere, ma non credo che mi abbia influenzato per Outrage. Se facessi comportare i miei personaggi come i mafiosi di Scorsese la cosa non avrebbe senso, la yakuza è una realtà orientale quindi non è corretto parlare di influenza.

Mentre il pubblico di Cannes assiste a Outrage, a Parigi è stata allestita una mostra dedicata a lei che contiene testimonianze di Beat Takeshi, il suo alter ego. Come fa a coniugare questi due aspetti?
Takeshi Kitano: Molte persone mi chiedono come faccio a conciliare due anime così diverse, una comica e una violenta e cupa. Per me entrambi gli aspetti sono molto importanti, il mio metodo di lavoro è come un pendolo che può oscillare alternativamente verso la violenza e verso la comicità. Tutto sta a mantenere sempre l'energia per farlo oscillare nel modo giusto e non perdere l'orientamento. Tento di alimentare la mia curiosità per i vari aspetti della vita e della realtà.

Cosa la spinge a scegliere un nuovo progetto lavorativo? Come nascono i suoi film?

Takeshi Kitano: I miei progetti lavorativi nascono in modo molto semplice. Stabilisco prima i pilastri della storia, l'inizio, lo sviluppo, il twist e il finale. Quando ho visualizzato questi quattro punti allora mi dedico allo sviluppo della storia e aggiungo nuove idee.

Se le offrissero di realizzare un film a Hollywood che storia vorrebbe raccontare?
Takeshi Kitano: Ho girato Brother a Los Angeles, ma non può essere definito un film americano. Non sono così pazzo da girare un film in lingua inglese perché non conosco l'inglese e non sarei in grado di dirigere attori che parlano in un'altra lingua nè a giudicare la loro recitazione. Sono molto affascinato dalla mitologia western e dal mondo occidentale, ma sono molto impegnato a lavorare alle mie sceneggiature, perciò non sento la necessità di guardare a mondi diversi da quello in cui vivo e che conosco bene.