Recensione Ubriaco d'amore (2002)

Dal regista di Boogie nights e Magnolia un altro film sopra le righe. Premiato a Cannes per la miglior regia, Paul Thomas Anderson ci abitua con Ubriaco d'amore a film non convenzionali, originali ed intelligenti.

La straordinaria vita di un uomo ordinario

Dal regista di Boogie nights e Magnolia un altro film sopra le righe. Premiato a Cannes per la miglior regia, Paul Thomas Anderson ci abitua con Ubriaco d'amore, Punch-drunk love, a film non convenzionali, originali ed intelligenti. Il centro della scena è tutto per il decentrato e sconnesso Barry Egan, un Adam Sandler passivo ed insignificante, che conduce una vita tranquilla e modesta come addetto alle vendite nella sua piccola impresa di oggetti casalinghi. Unico fratello maschio in mezzo a sette sorelle acidelle, Barry alterna momenti di assoluta quiete a improvvisi scoppi di violenza, trascinandosi in un'esistenza di solitudine che lo spinge a cercare la facile compagnia di un telefono erotico, e la facile evasione di una promozione aerea a raccolta punti dei budini Healty Choice. Ma qualcosa è destinato a cambiare nel protagonista che, gradualmente, somatizza l'improvviso arrivo di Lena, un' Emily Watson innamorata cotta, lasciandosi travolgere dall'amore.

L'ignavo Barry indossa il suo nuovo abito blu, con disarmante disinvoltura, a Los Angeles come alle Hawaii, al lavoro come ad un incontro galante. Intorno a lui le auto si scontrano e i pianoforti vengono abbandonati sulla strada. Attorno a lui il telefono perseguita, e le sorelle s'impicciano. L'ambiente acustico, col sovrapporsi di voci e l'accavallarsi di suoni, confonde e disorienta creando tensione ed irritamento. Barry sopporta, non senza scoppi di rabbia, e si lascia vivere, incapace com'è di prendere decisioni che cambino il lento corso della sua vita. Solo e frustrato, tenta superficialmente e maldestramente di colmare il vuoto sentimentale rivolgendosi ad un numero sexy. La non-scelta di esporsi ad un incontro fisico, preferendo una telefonata, rimarca la presa di distanza dagli eventi, che succedono, quasi casualmente. Barry preferisce il ruolo di spettatore a quello di attore, guardando da un angolo, al buio. La sua posizione all'interno dell'inquadratura è, infatti, spesso relegata in fondo, decentrata, in controluce, nell'ombra.

È il destino che muove gli eventi, una misteriosa forza esterna che crea ritmo nella vita di Barry, altrimenti immobile. Nell'esistenza di questo apatico personaggio succede di tutto: viene ricattato e malmenato dalla suadente voce hard e famiglia, accumula migliaia di chilometri aerei gratis beffando, (o facendosi beffare?), da una marca di budini, trova un piccolo pianoforte abbandonato davanti al suo ufficio, segue l'amore alle Hawaii senza aver mai preso l'aereo. Già, l'amore. Nonostante Barry sia introverso e complessato, diviene oggetto di attenzioni dell'altrettanto timida Lena. I due personaggi, goffi e impacciati, sono dei sognatori ingenui che sembrano vivere in un'altra dimensione. La realtà è violenta, e rende violenti; gli ambienti in cui si muovono sono freddi e asettici, come l'ufficio di lui e l'appartamento-cella di lei; ma insieme creano un equilibrio che li rende forti e in grado di affrontare, finalmente, la realtà.

Ora niente è più come prima. Gli eventi non succedono, ma si controllano. Il telefono smette di squillare, le sorelle d'assillare, e i colori prendono vita. Quel fascio di luce che come un flash accompagnava ovunque Barry, ora si scompone in un arcobaleno che riempie l'esistenza, prima così vuota e monotona. Quella luce è la forza che da dentro, e non più dall'esterno, spinge per mandare avanti le cose. È quel pizzico di surreale che dà colore e spessore al reale.