Recensione Un matrimonio all'inglese (2008)

L'aspetto più interessante è probabilmente quello formale: le soluzioni visive accattivanti e originali non si contano, a cominciare dai deliziosi titoli di testa, e particolarmente riuscita è l'integrazione tra i dialoghi e le liriche delle canzoni.

La sposa americana

La bellissima, intelligente, avventurosa Larita, una delle prime donne pilota della storia, incontra il grande amore a Montecarlo: il principe azzurro è un ragazzo britannico, dolce, divertente, amabile e talmente pazzo di lei da sposarla su due piedi. Peccato che al precipitoso matrimonio segua rapidamente l'incontro con la famiglia di lui, rifiugiata in una immensa e malmessa magione nella brughiera inglese, e non esattamente preparata alla notizia delle nozze di John. Se le sorelle del giovane sono ammirate di fronte alla bellezza e alla personalità della neo-cognata americana, gli amici di famiglia sonoincuriositi e incantati e il padre la prende immediatamente in simpatia, la madre dello sposo, Veronica, è decisamente scontenta della novità e determinata a punire Larita per aver sposato il suo primogenito. Ne segue una guerra senza (quasi) esclusione di colpi, che lascerà sul terreno qualche vittima (il cagnolino di casa, che cui la povera Larita, animalista convinta, si trova accidentalmente ad assassinare) ma che sopratutto conduce i personaggi a capire molte cose di sé stessi e delle proprie aspirazioni.

Ora, non lasciatevi ingannare da questa breve introduzione al plot di Easy Virtue, perché non è assolutamente quello che sembra. Non è una delle tante commedie romantiche che hanno al centro il conflitto con i suoceri (e in particolare con il suocero dello stesso sesso del protagonista) che, dopo varie esilaranti traversie, terminano con la conciliazione delle tensioni. Vi basti

sapere questo e il fatto che qui la suocera è la magnifica Kristin Scott Thomas, alle prese con un personaggio che pur abbracciando tutti i crismi dell'antagonista non si avvicina minimamenta a tramutarsi in macchietta: sottilmente architettato, vanta motivazioni condivisibili e una "cattiveria" molto umana che non intacca per nulla la sua amabilità. Colin Firth, nei panni del suo silenzioso ma occasionalmente assai pungente consorte, ha un ruolo più sobrio che comunque gli permette di fare sua la scena in un paio di momenti, e se la cavano molto bene anche gli attori più giovani, la luminosa Jessica Biel e il candido Ben Barnes.
Questo ensemble, coadiuvato da un eccellente cast di supporto, inscena una vicenda che convince più nelle scene dialogiche che nei momenti più grotteschi (come la morte del povero Poppy) o in quelli melò: la tensione drammatica, infatti, non è mai particolarmente forte, anche perché il fatto che non ci sia vera condanna dei gesti del presunto villain non aiuta a palpitare per le sorti della protagonista.

Ma l'aspetto più interessante di Easy Virtue è probabilmente quello formale: le soluzioni visive accattivanti e originali non si contano, a cominciare dai deliziosi titoli di testa, e particolarmente riuscita è l'integrazione tra i dialoghi e le liriche delle canzoni che, arragiate da Marius de Vries (Moulin Rouge), vedono spesso al canto i protagonisti del film, e persino il regista Stephan Elliot.
E a proposito di Elliot, Easy Virtue non è forse intelligente e toccante quanto il film per cui è più noto, Priscilla, la regina del deserto, ma l'eclettico australiano è un autore che ci piacerebbe comunque vedere all'opera più spesso.

Movieplayer.it

3.0/5