Recensione The Good Shepherd - L'ombra del potere (2006)

Molti dei difetti del film sono imputabili soprattutto alla regia di De Niro: partendo da questo interessante script ma con alle spalle un regista di maggiore esperienza si poteva e si doveva fare molto di più.

La spia che mi annoiava

Dopo aver raccolto un discreto successo al botteghino americano nelle scorse settimane, il secondo film da regista di Robert De Niro approda anche nel vecchio continente, e più precisamente al tappeto rosso della 57a edizione della Berlinale.
Il film, scritto da Eric Roth, già autore di alcuni strepitosi script quali Munich e Insider - Dietro la verità, racconta dei primi anni della CIA attraverso la vita di Edward Wilson, un uomo che ha deciso di mettere la propria patria, e soprattutto la sicurezza della stessa, al di sopra di ogni altra cosa, persino della propria famiglia e vita privata.

Il filo narrativo procede in modo non lineare, facendo largo uso di flashback, e coprendo tutti i più importanti eventi politici che vanno dal 1939, anno in cui Edward per la prima volta viene avvicinato dai servizi segreti americani, a cinque lustri più tardi, in piena guerra fredda. Nel frattempo Edward passa da giovane studente del college che tradisce il suo professore, accusato di simpatie naziste, a capo del nascente OSS in forza a Londra durante la seconda guerra mondiale, da giovane innamorato di una dolce ragazza non udente a marito di Clover, amante di una notte che lo porterà ad essere ben presto padre - ovviamente destinato ad essere molto poco presente nella vita del figlio.

Sono tanti gli avvenimenti che si susseguono per la durata di quasi tre ore, così come sono tante le star (da Angelina Jolie allo stesso De Niro, da John Turturro all'ormai immancabile Alec Baldwin, da William Hurt fino ad arrivare al redivivo Joe Pesci) che compaiono, più o meno brevemente, sullo schermo. Ma non basta tutto questo per trasformare L'ombra del potere - The Good Shepherd in un prodotto vincente o per riproporre, con una storia che probabilmente sulla carta poteva sembrare perfetta, un epos filmico del calibro de Il padrino - parte seconda (un paragone sicuramente azzardato ma non avventato considerato che Francis Ford Coppola non solo co-produce il film, ma in un primo momento sembrava dovesse dirigere personalmente questo progetto). E, perdonate la franchezza, il buon Bob per quanto possa avere la nostra eterna stima per le sue doti da attore, dietro la macchina da presa non raggiunge certo l'eccellenza.

Molti dei difetti del film sono infatti imputabili soprattutto alla sua regia: è De Niro infatti a non saper imporre un tono e ritmo deciso all'andamento, decisamente altalenante, del film. Quando non ci si annoia, quantomeno si attende speranzosi un coinvolgimento emotivo verso i personaggi o verso la storia narrata che non arriverà mai. Il protagonista Matt Damon è bravo, molto bravo, nel ruolo di un protagonista gelido, compassato, spesso impassibile, ma la sua continua presenza sullo schermo per le quasi tre ore della durata del film recitando solo con un sopracciglio o al massimo qualche sguardo non aiuta certo la digeribilità di una storia che è già monumentale e indigesta di suo. Certo, il continuo andirivieni di divi aiuta un po' a tenere alta l'attenzione, ma il gioco non può durare tanto a lungo.

Un'occasione sicuramente sprecata, si poteva e di doveva fare molto di più, e forse un po' di umiltà da parte di De Niro avrebbe aiutato a mettere il progetto nelle mani di un regista più esperto o più dotato, così invece quello che rimane è un'ottima idea e una buona confezione che finiscono col nascondere, se non eclissare, la sostanza. E' proprio il caso di dirlo, questa volta il buon pastore ha predicato bene, ma razzolato male.

Movieplayer.it

2.0/5