La scomparsa di Patò: costumi e malcostumi di un'Italia unita

Dopo il grande successo televisivo de Il commissario Montalbano e molte rappresentazioni teatrali ispirate alle sue opere, Andrea Camilleri si prepara a espugnare il grande schermo con un romanzo dall'insolita struttura narrativa e dall'inaspettata attualità.

Dalla letteratura alla televisione fino al cinema la capacità espressiva di Andrea Camilleri non conosce limiti. Così, dopo aver conquistato il piccolo schermo con le avventure de Il commissario Montalbano, il prolifico scrittore siciliano si prepara a espugnare il grande schermo con La scomparsa di Patò. Pubblicato da Mondadori nel 2000 e oggi distribuito in sala da Emme Cinematografica in 30 copie dal 24 febbraio, il romanzo rappresenta la prima trasposizione ispirata all'opera di Camilleri, anche se per l'ex funzionario Rai e docente di regia all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica, il cinema non rappresenta certo una novità. A dirigere questo esordio è Rocco Mortelliti che, oltre ad essere legato all'autore da motivazioni famigliari, con lui e Maurizio Nichetti ha condiviso il lavoro alla sceneggiatura. Ecco, dunque, che da un romanzo atipico composto di documenti, scambi epistolari e articoli di giornali datati 1890, è stato tratto l'essenza di un'indagine d'epoca incentrata intorno alla misteriosa scomparsa di Antonio Patò, direttore della sede locale della banca di Trinacria. A raccontare i particolari di un fatto di cronaca inaspettatamente attuale sono la coppia comica Nino Frassica/ Maurizio Casagrande, Alessandra Mortelliti e Neri Marcoré nelle vesti dello stesso Patò.

Signor Camilleri, dopo un passato televisivo indubbiamente importante anche il cinema sembra essersi accorto del suo lavoro. Come ha collaborato con Rocco Mortelliti e Maurizio Nichetti alla sceneggiatura de La scomparsa di Patò? Andrea Camilleri: Il mio intervento è stato veramente minimo, come accade anche per la televisione. Sono convinto che per alcune cosa sia giusto affidarsi alla conoscenza degli esperti e, in questo caso, i professionisti sono gli sceneggiatori. Preferisco che a parlare per primi siano sempre loro. D'altronde, se si ha la fortuna di collaborare con degli ottimi scrittori, questi sono il tramite migliore per tradurre le mie parole in immagini. Così, quando mi è stata consegnata la sceneggiatura già pronta e perfetta, a me non è rimasto che apporre delle correzioni marginali. Non ho sentito la necessità di aggiungere o togliere nulla, visto che la trasposizione rispettava perfettamente due elementi basilari del romanzo: il desiderio di scomparire nel nulla che, almeno una volta nella vita, ha accomunato tutti noi, e la supponenza del potere. A questo si aggiunge il ritratto di un'intelligenza e furberia tutta meridionale espressa perfettamente nelle ambientazioni e nei dialoghi. A quel punto non ho fatto altro che augurare buon lavoro a Rocco, desideroso di realizzare questo film ormai da molto tempo.
Rocco Mortelliti:: Effettivamente ci siamo concessi pochissime libertà rispetto alla via narrativa tracciata dal romanzo. Tra queste, la scelta di utilizzare il personaggio del poliziotto partenopeo come un elemento estraneo all'ambiente culturale siciliano e il piacere finale di mostrare dove sia andato a nascondersi Patò.

Signor Camilleri, Il film, come il libro, sembra avere una natura hitchcockiana. Riconosce nella sua opera questi riferimenti? Andrea Camilleri: Quando scrivi, ti scorrono davanti molte delle cose che hai dentro. E' una scorta di lavorio inconscio. Per questo motivo possiamo dire che uno scrittore è figlio di molti padri. Probabilmente, nel romanzo come nel film c'è l'ironia che lui ha sempre messo nelle sue creazioni, ma tutto è avvenuto in modo inconsapevole.

Patò è un eterno farabutto, una figura molto italiana e incredibilmente attuale. Avete un'idea di chi sono e dove si nascondono i Patò di oggi? Andrea Camilleri: Per scoprirlo basta aprire i giornali. La differenza è che oggi fanno l'imbroglio e poi non scompaiono.
Neri Marcorè: Oggi Patò lo trovi alla guida di una nave o tra le file dei politici. La grande differenza è che alla fine dell'ottocento non esisteva la copertura dei media e questi personaggi potevano scomparire nel nulla senza che qualcuno si prendesse la briga di andarli a cercare.

Montalbano sta per tornare in televisione, ma questa volta Michele Riondino sostituisce Luca Zingaretti per raccontare le avventure giovanili del leggendario commissario. Che cosa pensa di questo nuovo progetto? Crede che Il giovane Montalbano riuscirà a conquistare l'affetto del pubblico? Andrea Camilleri: Si tratta di una scommessa in corso d'opera e sono molto curioso di vedere come reagirà il pubblico. Per quanto riguarda la realizzazione, posso solamente dire che Riondino è veramente un grande attore e che il lavoro collettivo di regista e sceneggiatori ha mantenuto intatta la qualità cui siamo stati abituati.

Signor Marcoré, il personaggio di Patò nasce dalle suggestioni culturali di una terra complessa come quella siciliana, ma è anche fortemente legato a un'universalità italica. Come ha unito questi due elementi per tratteggiare il carattere di un personaggio sostanzialmente invisibile? Neri Marcorè: Fin dal principio c'erano tutte le premesse per realizzare un lavoro tranquillo e divertente. Quando sei sicuro della sceneggiatura, ti accorgi di non avere nessun problema sul set. Certo, Patò, nonostante il suo costume d'epoca, rappresenta l'emblema dell'Italiano contemporaneo e di un paese dove si fa sempre troppa fatica a rintracciare i responsabili. In fin dei conti, però, interpretare farabutti è una delle cose più divertenti che possa capitare a un attore.

A prendere in mano le indagini riguardo questa misteriosa scomparsa sono il commissario di Polizia Ernesto Bellavia e il maresciallo dei Carabinieri Paolo Giummaro. Interpretati da Maurizio Casagrande e Nino Frassica, i due danno vita a una nuova coppia comica di litiganti. Come vi siete confrontati con i vostri personaggi? Nino Frassica: Con Maurizio mi sono trovato benissimo, d'altronde entrambi veniamo dalla farsa e dal teatro dialettale. Inoltre, dovendo interpretare un siciliano della provincia, ho avuto il vantaggio di conoscere perfettamente il carattere del mio personaggio. Inoltre ho potuto recitare nel mio dialetto e questo ha reso tutto più vero. E' estremamente facile lavorare su di una sceneggiatura già completa, dove non c'è nulla da inventare. E poi c'e il vantaggio di avere l'autore vivente, quindi se avevamo qualche dubbio bastava chiamare Andrea.
Maurizio Casagrande: Venendo da Napoli, sono abituato a interpretare personaggi sempre osservati dagli altri con una punta di superiorità. Per una volta, invece, ho vestito i panni del giudicante. All'inizio il mio personaggio guarda con una certa pietas queste persone sconosciute, poi, però, inizia a immergersi in una realtà solo apparentemente antica e insignificante ma profondamente ricca di spessore.