The Assassin: il folgorante poema visivo di Hou Hsiao-hsien

L'attesissimo ritorno al cinema di un gigante come Hou Hsiao-hsien, premiato al Festival di Cannes 2015, è un 'finto' wuxiapian affascinante ed ipnotico, ambientato nella Cina del nono secolo: un'opera che stravolge le convenzioni del genere per narrare, tra pause, silenzi e immagini meravigliose, la missione omicida della sicaria Nie Yinniang.

È sorprendente come, alla soglia dei settant'anni, un maestro conclamato del cinema asiatico possa dimostrarsi interessato a percorrere sentieri inediti e generi mai sperimentati prima di allora. Taiwanese, classe 1947, Hou Hsiao-hsien si era già ritagliato un posto nel canone orientale fin dagli anni Ottanta, grazie a titoli come I ragazzi di Feng Kuei, A Time to Live, a Time to Die e Città dolente (Leone d'Oro al Festival di Venezia 1989): saghe familiari in cui la cronaca storica del suo paese veniva filtrata attraverso un'ottica privata e minimalista, secondo i criteri di un'inviolabile compostezza formale.

The Assassin: Shu Qi in una scena del film action
The Assassin: Shu Qi in una scena del film action

Da allora Hou Hsiao-hsien è rimasto fedele a tale impostazione stilistica: sia quando si è trattato di esplorare la parabola storica e culturale della Taiwan del ventesimo secolo (Il maestro burattinaio, Good Men, Good Women), sia quando si è dedicato invece a malinconici e trattenutissimi melodrammi calati nella solitudine del mondo contemporaneo (Millennium Mambo, Three Times - Tre tempi). E nel 2015, a ben otto anni di distanza dal suo precedente lungometraggio, la 'parentesi' francese Le voyage du ballon rouge, Hou ha deciso di cimentarsi con un genere rigorosamente codificato, il wuxiapan, con The Assassin , ricompensato al Festival di Cannes con il premio per la miglior regia.

Professione: assassina

The Assassin: Shu Qi in un momento del film
The Assassin: Shu Qi in un momento del film

Dall'attenzione per la modernità o per la storia recente (in precedenza, Hou si era spinto al massimo al tardo Ottocento con Flowers of Shanghai) il regista si sposta invece verso un passato ancestrale e dai contorni quasi mitici: la Cina del nono secolo, nel periodo della decadenza della dinastia Tang. Lo stesso spunto narrativo, del resto, è offerto da un noto racconto di età medievale di Pei Xing intitolato Nie Yinniang, l'avventura di una giovane lottatrice di arti marziali: un personaggio affidato nel film a Shu Qi, già attrice feticcio per Hou in Millennium Mambo e Three Times. Fin dall'età di dieci anni, Yinniang è stata cresciuta da Jiaxin (Fang-Yi Sheu), principessa decaduta e ora monaca impegnata a contrastare la corruzione all'interno dell'Impero, affidando delitti a sfondo politico alla sua infallibile discepola. Ma ancora più forte della spada è il cuore umano: e quando Yinniang non riesce a portare a termine uno dei suoi incarichi, mossa a pietà dalla presenza della famiglia accanto alla vittima designata, la reazione di Jiaxin è inflessibile quanto crudele.

The Assassin: Chen Chang in una scena del film
The Assassin: Chen Chang in una scena del film

Per dimostrare a Jiaxin la propria lealtà, infatti, la giovane donna dovrà recarsi nella remota provincia di Weibo e uccidere suo cugino, il governatore Tian Ji'an (Chang Chen), l'uomo a cui anni addietro la stessa Yinniang era stata promessa in moglie, prima che la "ragion di Stato" spezzasse il loro amore. La missione di Yinniang assume quindi il significato di un ritorno al passato: di un confronto con se stessa, con le proprie radici familiari, con ricordi e sentimenti rimossi che riemergeranno con forza inattesa, inserendosi come una variabile impazzita nella ferrea equazione omicida imposta da Jiaxin. E se in apparenza la trama di The Assassin può ricordare gli intrecci non troppo dissimili di altri esempi più o meno illustri del genere, lo spettatore non deve lasciarsi trarre in inganno: del wuxiapian Hou Hsiao-hsien si limita a riprodurre la 'veste' e a saccheggiarne l'immaginario, ma per il resto il suo film non potrebbe essere più distante da opere come La tigre e il dragone del connazionale Ang Lee o la trilogia wuxia di Zhang Yimou.

L'armonia della natura e il caos della civiltà

The Assassin: Shu Qi in una scena del film nei panni di Nie Yinniang
The Assassin: Shu Qi in una scena del film nei panni di Nie Yinniang

Fin dal prologo, girato in un raffinatissimo bianco e nero, Hou Hsiao-hsien rende esplicita la propria dichiarazione d'intenti: azzerare del tutto o quasi le convenzioni e i ritmi del wuxiapian classico a favore di una messa in scena di straordinaria suggestione. Quello di Hou, in fondo, è sempre stato un cinema rarefatto ed ellittico, un cinema che richiede al suo pubblico di immergersi gradualmente nella realtà rappresentata, e The Assassin non si discosta affatto dalla poetica dell'autore: i movimenti di macchina, rari e lentissimi, lasciano allo sguardo tutto il tempo necessario per farsi rapire dalle immagini; le figure umane risultano spesso 'filtrate' da ombre, da veli o da fitte coltri di nebbia; mentre quello che dovrebbe essere il nucleo del wuxiapan, l'azione, è relegato a semplice elemento di raccordo narrativo, piuttosto che costituirne la climax. È emblematico, in tal senso, che il primo scontro fra Yinniang e le guardie di Tian Ji'an sia ripreso da lontano, sotto le fronde degli alberi, seminascosto nell'oscurità; o che sovente le sequenze di lotta siano interrotte dopo pochi istanti o addirittura confinate fuori campo.

The Assassin: Shu Qi in posizione di difesa in una scena del film
The Assassin: Shu Qi in posizione di difesa in una scena del film
The Assassin: Chen Chang in un'immagine tratta dal film
The Assassin: Chen Chang in un'immagine tratta dal film

In The Assassin, d'altronde, l'emozione più profonda non proviene dai duelli, così come il reale veicolo del racconto non è costituito dai dialoghi, ridotti al minimo, ma dal valore intrinseco delle immagini. Immagini stupefacenti, capaci di evocare un incessante senso di meraviglia: che si tratti di ritrarre la fisionomia di un volto o il dettaglio di un arredo, oppure di catturare in un campo lungo l'immota bellezza di un paesaggio, Hou Hsiao-hsien costruisce ogni singola inquadratura come una composizione pittorica, coadiuvato dalla sublime fotografia di Mark Lee Ping Bing. Questa ossessiva cura estetica, insieme al rigore di una regia ieratica e calibrata al millimetro, non vanno tuttavia confusi con un mero esercizio di stile: perché in The Assassin la forma, i colori, i silenzi, o quegli attimi che paiono prolungarsi all'infinito diventano il respiro interiore del film. Ed è proprio questo approccio contemplativo, quasi astratto, in cui il realismo finisce per dissolversi fra ombre e nebbia, a lasciar emergere l'anima dell'opera: il contrasto fra l'imperturbabile armonia della natura e il caos di una civiltà in preda alle passioni e alla follia.

Movieplayer.it

4.0/5