Malala: il coraggio di una ragazza "qualsiasi"

Il Premio Oscar Davis Guggenheim firma la regia di Malala, ritratto declinato alla forma documentario della giovanissima pakistana Premio Nobel per la Pace della quale mostra la vita quotidiana e le azioni straordinarie che l'hanno resa un simbolo della lotta per i diritti civili e all'istruzione.

"Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne, dissi. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo". Queste parole, semplici eppure cariche di una potenza rivoluzionaria Malala Yousafzai le ha pronunciate il 12 luglio 2013 al Palazzo di Vetro di New York. Un discorso a favore dell'istruzione di bambini e bambine di tutto il mondo pronunciato nel giorno del suo sedicesimo compleanno. Un anniversario al quale nessuno pensava che la giovane attivista pakistana sarebbe mai arrivata quando, un anno prima, un commando di talebani fece irruzione all'interno dello scuolabus che, come ogni giorno, avrebbe riportato la ragazza e le sue compagne a casa, nella regione delle Swat, per spararle con l'intento di ucciderla. Una vendetta, una punizione quella inferta a Malala per le sue idee a favore dell'istruzione femminile fortemente osteggiata in quelle zone del Pakistan lasciate in mano ad una frangia estremista del mondo islamico. A soli quindici anni la sua voce era diventata una minaccia, anche grazie ad un blog clandestino per la Bbc nel quale, con uno pseudonimo, raccontava ad un reporter anglosassone com'era cambiata la sua vita e quella del suo stesso popolo da quando i talebani avevano preso il controllo della regione.

Malala: Malala Yousafzai davanti a fotografi e telecamere in una scena del documentario
Malala: Malala Yousafzai davanti a fotografi e telecamere in una scena del documentario

Davis Guggenheim, premio Oscar 2007 per Una scomoda verità, lavoro dedicato all'annosa questione del riscaldamento globale, firma la regia di Malala, ritratto declinato alla forma documentario della giovane ragazza pakistana Premio Nobel per la Pace 2014 della quale mostra la vita quotidiana e le azioni straordinarie che l'hanno resa una vera e propria attivista di fama mondiale, capace di attirare l'attenzione di stampa e TV su temi legati ai diritti civili, specie di chi spesso una voce non ce l'ha.

Basato sul libro Io sono Malala, scritto dalla stessa ragazza insieme a Christina Lambert, giornalista britannica del The Sunday Times, il documentario di Guggenheim nasce da una vicinanza durata dodici mesi tra il regista e la famiglia Yousafzai, attualmente residente a Birmingham, dove la giovane attivista e la sua famiglia hanno intrapreso un nuovo percorso. L'intento stesso del lavoro è quello di documentare la doppia vita di Malala, divisa tra le normali attività di un'adolescente, tra compiti in classe ed interrogazioni, e gli straordinari eventi ed incontri che scandiscono le sue giornate in giro per il mondo, dalla Nigeria alla Giordania.

Il destino nel nome

Malala: Malala Yousafzai in un momento intimo del documentario
Malala: Malala Yousafzai in un momento intimo del documentario

Come racconta lo stesso padre della ragazza, figura centrale e complice nella sua vita, il nome della giovane attivista è ispirato a quello di un'eroina popolare della tradizione afghana. Una giovane donna, Malala per l'appunto, che radunò i combattenti pashtun per spronarli a resistere contro le truppe inglesi in una battaglia nel 1880 e che trovò la morte, proprio per mano anglosassone, sul terreno di battaglia. La Giovanna d'Arco afghana, come viene comunemente chiamata, evoca da vicino la storia vissuta dalla ragazza pakistana, voce di rottura e di coraggio contro l'oppressione talebana che ha rischiato di pagare con la vita le sue idee ritenute incompatibile con l'ideologia fondamentalista. Il regista per raccontare queste parentesi del percorso privato di Malala, precedenti all'attentato subito nel 2012 - dalla nascita fino ai suoi anni trascorsi nelle scuole pakistane -utilizza i disegni animati di Jason Carpenter, caratterizzati da tratti e colori tenui dai contorni onirici. Un'escamotage narrativo che si attesta come unico guizzo in un documentario molto classico e poco originale per quanto concerne la dimensione prettamente registica.

Guggenheim lascia che sia la stessa Manala a raccontare la sua storia, insieme ad interviste agli altri membri della famiglia, con le quali mostra un lato poco conosciuto e molto meno mediatico della sua vita. Con immagini di repertorio, sezioni animate, frammenti di apparizioni televisive ed interviste tra lo spontaneo e la ricostruzione, si evince come l'interesse del regista sia quello di mostrare due lati della stessa medaglia, la ragazzina studiosa e l'eroina ben più matura dei suoi diciotto anni, senza dimenticare di mostrare, attraverso la sua dolorosa vicenda, uno spaccato di Pakistan stretto nella morsa di un'ideologia ed una ristrettezza di vedute che passa anche dal vietare un'istruzione scolastica femminile.

Una ragazza qualsiasi

Malala: Malala Yousafzai in un'immagine del documentario
Malala: Malala Yousafzai in un'immagine del documentario

Il lato mediatico di Malala, anche distrattamente, è noto ai più, tanto da essere inserita tra le tracce della prima prova della maturità proprio con la citazione del suo discorso al Palazzo di Vetro, ma quello che comunemente viene ignorato è proprio l'aspetto privato di una ragazzina resa celebre in tutto il mondo da quella stessa mano che voleva metterla a tacere. Classe 1997, Malala stupisce per la sua consapevolezza, per la sua intelligenza e determinazione che Guggenheim non cerca di rendere come una figura in odore di santità ma, piuttosto, si sforza di mostrare nelle sue sfaccettature più semplici (sebbene poi il risultato in determinati passaggi risulti essere esattamente quello di un santino vivente con momenti troppo sottolineati). Dalle liti con i fratelli minori ai compiti in classe nei quali non sempre brilla come prima della classe, da un tweet ad un video dei Minions visto sull'iPad fino alla classica "cotta" adolescenziale per Roger Federer, il tennista svizzero dei record, Malala recupera la dimensione "umana" fatta di imbarazzi, libri da studiare e fantasticherie tipiche di quegli anni. Malala è questo ma è anche molto altro.

Malala: un'immagine che ritrae Malala Yousafzai
Malala: un'immagine che ritrae Malala Yousafzai
Un simbolo, una voce potente e fondamentale per la lotta a favore del diritto universale di vivere liberamente la propria esistenza. Davis Guggenheim ha il merito di aver portato sul grande schermo la sua storia, mezzo per arrivare a chiunque e permettere una riflessione profonda sulle discrepanze relative a quelle che per l'Occidente sono delle ovvietà ma che, nel resto del mondo, sono ancora visti come miraggi ed utopie. L'unica pecca è quella di non aver osato maggiormente sul piano registico, contraddistinto da un ritmo e da un taglio non particolarmente penetranti, con più di un momento di stallo, che ne hanno inficiato la riuscita complessiva.

Movieplayer.it

3.0/5