Recensione Promises Written in Water (2010)

Minimalismo naif in bianco nero in cui già i credits dei titoli di testa sono un manifesto d'intenti: Gallo, scrive, dirige, interpreta, musica, monta e produce il film probabilmente più a basso costo di sempre. E lo fa credendo di essere Jean-Luc Godard nei '60 se non Andy Warhol.

La promessa di Vincent Gallo

Il dubbio se Vincent Gallo ci sia o ci faccia guardando Promises Written in Water è legittimo. Ma l'ipotesi della sua sincerità è talmente più accreditabile che diventa anche dura affossare un progetto su cui pesa un'autoindulgenza davvero oltre il limite di guardia, ma probabilmente non una spocchiosa velleità intellettualistica compiaciutamente antihollywoodiana. Gallo in altre parole non gioca a fare l'artista iconoclasta, pare davvero crederci e finisce per fare un pò di tenerezza. Il suo film racconta molto esilmente della morte di una ragazza, malata terminale e del suo desiderio di essere cremata dal compagno, in un cammino a ritroso che rievoca il percorso amoroso della coppia.

Minimalismo naif in bianco nero in cui già i credits dei titoli di testa sono un manifesto d'intenti: Gallo, scrive, dirige, interpreta, musica, monta e produce il film probabilmente più a basso costo di sempre. E lo fa credendo di essere Jean-Luc Godard nei '60 se non Andy Warhol. Lo straniamento è immediato e garantito da una premessa/promessa di cui ascoltiamo il sonoro senza immagini. Successivamente il ribaltamento di questa idea prende corpo nelle numerose sequenze senza audio, francamente eccessive.

D'altronde la parola sembra proprio essere un orpello superfluo nel film di Gallo che procede per interminabili dialoghi in piano sequenza nei quali domina una sorta di loop comunicativo tra i personaggi che continuano a ripetere all'infinito la loro battuta. Ma se nella prima parte il film resta in piedi grazie a una sorta di involontaria ipnosi primordiale, ben presto lo scarto con gli elementi che stanno alla base di un racconto cinematografico minimamente tradizionale si fanno troppo sentire e si scivola nell'abisso della noia e del gratuito, quando non del riso involontario.
Al di là dei risultati estetici del film, rimangono forti dubbi sulla scelta di inserire nel concorso un film del genere. Difficile non bocciare la scelta come un atto di inutile snobismo, quando esistono sezioni parallele con intenti sperimentali come Orizzonti, ben più consone alla presentazione di opere così manifestamente disinteressate a parlare con il pubblico.