Recensione de La prima pietra: Cattivissimi "noi"

La recensione de La prima pietra, terza prova alla regia per Rolando Ravello: una commedia acida e spietata sull'integrazione.

È scorretta, divertente, spietata: la commedia natalizia ai tempi dei conflitti sociali, religiosi e culturali si rinnova. Questa volta tocca al terzo film di Rolando Ravello, definito dallo stesso regista un ideale sequel del suo esordio Tutti contro tutti; si chiama La prima pietra, attinge a piene mani dalla contemporaneità "italiota" e si presenta con le sembianze di una commedia corale basata sul testo teatrale di Stefano Massini e riadattata sul grande schermo da Ravello e Stefano Di Santi. Una versione leggera e scanzonata di Carnage, che rinchiude nell'ufficio di presidenza di una scuola elementare sei adulti di idee, culture e religioni diverse: convocati dal preside si ritroveranno a discutere di chi debba pagare i danni del vetro rotto da Samir lanciando un sasso e ferendo due bidelli. Metteteci che siamo quasi alla vigilia di Natale, per la precisione il 23 dicembre, che c'è una recita da portare in scena e che il ragazzino presunto colpevole è musulmano, insomma tutti ingredienti di un racconto che sin dalle premesse si preannuncia pirotecnico.

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La prima pietra: Corrado Guzzanti in un momento della commedia

Ogni passo in avanti della storia, settantasette piacevolissimi minuti, concorrerà a inasprire i toni del confronto tra i presenti: le dure e pure signore Hatab (Kasia Smutniak e Serra Yilmaz), rispettivamente mamma e nonna del bambino, la parte lesa, espressione folkloristica del popolino (Valerio Aprea e Iaia Forte), un insegnante (Lucia Mascino) persa nel proprio universo vegan e new age e un preside (Corrado Guzzanti) all'apparenza super inclusivo, ma il cui unico pensiero è l'ossessione per la sacra, immancabile recita di Natale, nella quale ha riposto tutte le sue velleità artistiche.

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Il politicamente scorretto

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La prima pietra: Kasia Smutniak e Serra Yilmaz in una scena

Il cortocircuito è dietro l'angolo e Rolando Ravello sa come accendere la miccia spingendosi senza timore sul terreno del politicamente scorretto, con dialoghi brillanti, personaggi che non rincorrono la risata ma sanno come dosarla e un ritmo sostenuto che accompagna lo spettatore fino all'esplosione finale.
A nessuno si risparmierà qualcosa, se le daranno tutti di santa ragione in un babelico faccia a faccia che non lascia speranze: cristiani contro musulmani, musulmani contro ebrei, italiani vs stranieri. Tutti colpevoli nel tentativo affannoso di capire chi quella pietra l'abbia scagliata per primo.
La prima pietra si rivela un'aspra critica sociale e quella stanza un microcosmo del reale, che ci sbatte impietosamente davanti allo specchio deformante di quello che siamo diventati: ipocriti, intolleranti e miopi.

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La prima pietra: una scena con Corrado Guzzanti

Il linguaggio è quello della comicità cinica, cattiva, acida che si scaglierà su ciascuno dei personaggi, fino a regalarci scene destinate a diventare cult come quella in cui Corrado Guzzanti si adopera nella grottesca pantomima del bue del presepe: personaggio "ieratico e possente, che soffia, soffia e soffia...", lo definirà il preside della scuola, pronto pur di liquidare la faccenda nel minor tempo possibile, ad affidarne la parte inizialmente assegnata a Samir, a un altro bambino.
Una rappresentazione grottesca al buon esito della quale contribuiscono delle prove d'attore ineccepibili, calibrate sui tempi del comico dal primo all'ultimo interprete in scena.

Un manifesto della contemporaneità

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La prima pietra: Serra Yilmaz in una scena

Si ride amaramente del nostro presente, ciascuno dei protagonisti è a proprio modo incapace di accogliere la diversità, lo spazio è quello dominato dalla paura, dall'odio e dalla sopraffazione. La prima pietra non è una classica commedia natalizia, è invece una fotografia, un manifesto della contemporaneità, ma è soprattutto un film sull'integrazione: invocata, auspicata e maltrattata al punto da rimanere una pura utopia nell'italietta dei politici miopi e di un popolo logorato dalla paura.

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La prima pietra: un primo piano di Valerio Aprea

Il merito va non solo a un testo ricchissimo di spunti firmato da uno degli autori italiani, Stefano Massini, più rappresentati tra Broadway e Londra, ma anche a un lavoro di riscrittura che tiene conto dei ritmi e dei tempi del grande schermo pur non sacrificandone l'essenza sull'altare della risata grossolana. Nel mirino ci finiscono tutti: moralisti e anticonformisti, estremisti e moderati, presepi multietnici e rocambolesche recite natalizie. Non c'è redenzione, né scampo per nessuno. Forse neanche per i bambini del film, vittime, pretesto e spettatori di un tracollo inarrestabile.

Movieplayer.it

3.5/5