Recensione 11:11 - La paura ha un nuovo numero (2004)

Uno pseudo-horror fatto male stilisticamente e pasticciato narrativamente. E come se non bastasse affetto da una congenita mediocrità recitativa...

La paura ha un nuovo numero? Non lo chiamate

11:11. Ci si aspetterebbero riferimenti alle Twin Towers, a Osama e compagnia cantanto.
Il titolo non tragga in inganno, siamo alla presenza di un (consueto) thriller soprannaturale che gioca sull'ennesima combinazione numerica generatrice di paura e morti varie.
E non tragga in inganno nemmeno l'incipit, secco, sporco, che ha il pregio di disorientare lo spettatore, e il difetto di introdurre ad un film che non manterrà nemmeno una delle promesse che aveva posto in essere nei suoi primi minuti.
I primi minuti ci presentano una vita di provincia senza filtri (tecnici e narrativi), di una semplicità disarmante, raccontandoci del dramma che la protagonista subisce, di veder uccisi i genitori da due sbandati capitati nella fattoria per caso.
Tutto il resto del film, ci parla, al contrario, della giovinezza della ragazza, segnata da un dramma che ovviamente cela, dietro alcune dinamiche insolite e per l'epitaffio segnato da uno degli assassini, "11:11", il lato paranormale della vicenda.

La realizzazione si rivela a lungo andare poco più che televisiva, nel senso meno lusinghiero del termine, con una regia incerta - del quasi sconosciuto Michael Bafaro - che a più riprese non sa in quale direzione volgere la propria direzione degli attori e della scena, ma, più prosaicamente, anche la semplice inquadratura.
Si aggiunga poi una pessima attrice, Laura Mennel, che, forse adatta a un palco di teatro, affronta la parte grottescamente, enfatizzando fino all'esasperazione l'unica espressione di spavento del suo repertorio, ottenendo spesso, suo malgrado, l'effetto contrario.
Per il resto siamo in presenza dell'amico immaginario (o forse no) autore (o forse no) dei delitti, di una risoluzione del mistero che appare quasi improvvisata e non del tutto narrativamente comprensibile, del bullo-brutto-e-cattivo e del principe più o meno azzurro e via discorrendo.
Sembra quasi si tratti di una favola della Disney incattivita e incazzata apposta per un pubblico adulto, ma con le evoluzioni psicologiche e i caratteri immutati nella trasposizione.
Un film di cui nessuno sentiva (e tuttora sente) la necessità. Peccato però, perché quell'incipit...