Recensione Harry Potter e il principe mezzosangue (2009)

La cifra dark che ha caratterizzato i precedenti episodi viene qui confermata da una vicenda che cerca di imprimere un respiro ancora più epico alla saga, sfumando i confini tra il mondo dei muggles e quello della magia.

La magia che (r)esiste

Si avvicina la resa dei conti, ad Hogwarts. E come potrebbe essere diversamente? Dopo il completamento della saga letteraria (l'ultimo romanzo è uscito nel 2008) e sei film che hanno provato a ricreare, con alterne fortune, il magico mondo uscito dalla penna della scrittrice J.K. Rowling, è logico che per il maghetto più famoso della narrativa fantasy i nodi inizino a venire al pettine. Per questa trasposizione del sesto episodio della serie, Harry Potter e il principe mezzosangue, quello in cui la vicenda di Harry Potter si prepara al suo ultimo atto con una serie di importanti svolte nella trama, viene confermato il regista già al timone del precedente Harry Potter e l'Ordine della Fenice (l'inglese David Yates) e vediamo il ritorno dello sceneggiatore Steven Kloves, presenza costante nella saga che aveva avuto l'unica, importante, defezione proprio nell'episodio precedente. In un film dalla durata che ancora una volta raggiunge e supera le due ore e mezza, scelta teoricamente obbligata data la ricchezza e la densità del materiale narrativo di base, la sceneggiatura condensa una storia che introduce alcuni importanti personaggi (il professor Horace Lumacorno, interpretato dall'ottimo Jim Broadbent), ne chiarifica (forse) definitivamente altri, e vede il completamento della maturazione dei tre protagonisti, già accennata nel capitolo precedente e qui portata, teoricamente, alla sua conclusione. Su tutto, una storia che si muove tra il passato (quello del nemico Lord Voldemort, svelatosi agli occhi del protagonista attraverso una magica pozione che immagazzina i ricordi) e un presente fatto di tradimenti e oscure minacce, in cui il mondo della magia e quello dei babbani (muggles per i puristi) sembrano accomunati da un incerto destino.

La cifra dark che ha caratterizzato i precedenti episodi viene qui confermata da una vicenda che, fin dalle battute iniziali, cerca di imprimere un respiro ancora più epico alla saga, sfumando appunto i confini tra i due mondi (le armate di Voldemort attaccano i muggles, mentre una ragazza appartenente a questi ultimi nota le immagini in movimento su un giornale letto dal protagonista) e cercando di organizzare in un climax gli avvenimenti che condurranno alla fondamentale svolta finale, in cui la responsabilità del giovane protagonista emergerà in tutta la sua pesantezza. Va detto però che, a differenza di quanto era avvenuto nel film precedente (poco apprezzato dai fans, ma caratterizzato da una compattezza di scrittura mancante finora a tutte le altre pellicole della serie) il passaggio dalla pagina scritta allo schermo ha portato qui, di nuovo, a una struttura episodica, a un incedere della narrazione quasi per singulti che finisce per togliere armonia al tutto. Il film ripresenta insomma, per larghi tratti della sua durata, i difetti che già avevano caratterizzato il quarto episodio della serie, quell'Harry Potter e il Calice di Fuoco che si è rivelato finora, probabilmente, il film meno riuscito dell'intera saga. Nonostante gli oltre 150 minuti di durata, alcuni passaggi risultano del tutto oscuri a chi non abbia letto il romanzo originale, lo stesso significato del titolo viene appena accennato, e il film si dilunga in modo un po' stucchevole sulle schermaglie amorose tra i giovani protagonisti, descritte in maniera incerta e fin troppo convenzionale dalla sceneggiatura.
Tuttavia, l'attenta regia di Yates, e una generale buona prova del cast, riescono in buona parte a supplire a questi limiti. Il regista inglese si conferma un ottimo artigiano dell'immagine, con un occhio attento ai dettagli e allo spirito generale dell'universo creato dalla Rowling (di grande suggestione tutto il viaggio di Harry e Silente nella parte conclusiva, addirittura toccante una delle ultime sequenze, che ovviamente non riveliamo); pur non possedendo il taglio personale messo in mostra da un Alfonso Cuaron (che aveva diretto un terzo film che, sempre più, si conferma come episodio anomalo all'interno dell'intera saga), Yates si dimostra ancora una scelta vincente per la serie cinematografica; non a caso già riconfermato per i due film successivi, che avranno il compito di portare sullo schermo, in due parti, il conclusivo Harry Potter e i doni della morte. Alla consueta, quasi maniacale cura per le scenografie, sospese qui tra uno sfrenato barocchismo e suggestioni neogotiche, si aggiunge un cast che appare più in vena del solito, a cominciare da un Daniel Radcliffe che, al sesto film, sembra iniziare ad entrare davvero nel personaggio ed offre forse per la prima volta una prova interamente convincente. Va sottolineata anche la nuova, ottima prova di un Alan Rickman che più che in precedenza dà spessore a un personaggio come quello di Severus Piton, fin dall'inizio della saga avvolto nel mistero e in una voluta ambiguità.
E così, mentre nubi nere si addensano sulla scuola di magia più famosa del fantasy moderno, dopo un film che pur negli zoppicamenti di sceneggiatura avrà certo convinto, complessivamente, i fans, i titoli di coda accompagnano l'attesa quasi elettrica per lo scontro finale; coronamento di un ultimo capitolo che arriverà nelle sale diviso, appunto, in due parti, da distribuirsi rispettivamente nel 2010 e 2011. L'attesa è già iniziata.

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3.0/5