Recensione Cape Fear - Il promontorio della paura (1991)

La vendetta è un piatto che va consumato freddo, ma con un contorno ricco di minacce, provocazioni e violenze da degustare lentamente prima del fatale dessert servito sulle rive di un fiume in piena.

La lunga vendetta

Dal primo vero psycho-thriller girato da Martin Scorsese, ci si aspetterebbe qualche eccesso di troppo nonché quella violenza urbana, psicotica e scriteriata pronta ad esplodere da un momento all'altro. Tutti questi elementi sono ben presenti in Cape fear - Il promontorio della paura (remake di un film diretto da J. Lee Thompson nel 1962) e ne fanno il risultato di uno sforzo pienamente scorsesiano: i rancori non sedati all'interno della famiglia (e della società), il tema della religione nel fanatismo malato e da vendetta biblica di Max Cody (anticipando, per altri versi, l'esaltante esito di un film troppo sottovalutato come Frailty - Nessuno è al sicuro di Bill Paxton) e la perenne instabilità delle relazioni umane. Ma, stranamente, Scorsese qui gioca molto sull'atmosfera generale piuttosto che sulle singole situazioni (che pur vengono affrontate frontalmente), orchestrando un cast di attori eccezionali (Nick Nolte, Jessica Lange, una Juliette Lewis magnifica nell'esaltare i primi sussulti sessuali dell'adolescenza e un immenso Robert De Niro che sta a Cape fear - Il promontorio della paura come Jack Nicholson sta a Shining: non temo smentite!) sulla soglia di una tensione magmatica e ribollente.

Quello che ne esce fuori è un film formalmente equilibrato rispetto ad altre opere di Scorsese. Forse più hitchcockiano che depalmiano, nonostante la lunga amicizia che lega i due dai tempi dei Movie Brats. I carrelli vertiginosi, i colori saturi e pronti ad implodere in negativi che riflettono l'anima nera nascosta in ognuno, i protagonisti che spesso vengono a cozzare contro la macchina da presa, le citazioni che sono troppo sommerse per essere scovate (Lolita, Il mostro della laguna nera, Nosferatu e Il settimo sigillo più di altri film), non sono sinonimo di una controproducente voglia di strafare. Semmai esprimono la volontà di Scorsese di dimostrare tutte le sue immense capacità tecniche al cospetto del manuale della suspense, applicato, questa volta, alle esigenze più intime della storia narrata (come raramente era successo nei precedenti lavori del regista italo-americano).

Peccato soltanto per quel finale un po' troppo sopra le righe e "annacquato" in una lotta tanto avvincente e tesa quanto fuorviante e falsificante, che in definitiva risulta essere una chiara concessione al grande pubblico. Al vecchio e caro Marty, però, questa defaillance può essere senz'altro perdonata, in virtù delle tante emozioni che il film, fino a quel punto, aveva garantito. Non ultima la presenza nel cast anche dei tre attori che furono i protagonisti del primo Cape Fear: Robert Mitchum, Gregory Peck e Martin Balsam.