La lunga avventura di Nicola Deorsola e del suo Vorrei vederti ballare

Dopo tre anni di attesa dalla fine delle riprese, la commedia sentimentale scritta da Giuseppe Fulcheri arriva finalmente al cinema con un cast formato da Giuliana De Sio, Paola Barale, Alessandro Haber, Gianmarco Tognazzi ed i giovani protagonisti Giulio Forges Davanzati e Chiara Chiti

La strada che porta un'opera prima a guadagnarsi il diritto al grande schermo è lunga e colma di difficoltà. In modo particolare gli ostacoli insormontabili non vengono certo dall'aspetto artistico, ma dal sempre sofferente reperimento di fondi. Un destino cui non si è sottratto nemmeno Vorrei vederti ballare, esordio alla regia di Nicola Deorsola su sceneggiatura scritta dall'amico Giuseppe Fulcheri, meglio noto fino a questo momento come compositore di colonne sonore per spettacoli teatrali. Così, dopo aver passato molti anni alla "corte" di Matteo Garrone, Giovanni Veronesi, Carlo Verdone e Sergio Rubini nelle vesti di operatore o aiuto regia, Deorsola ha aspettato ben tre anni per vedere il suo film uscire fuori dall'ombra e conquistare a fatica la sala grazie a Micromedia che, dal 6 dicembre, lo distribuirà in più di venti copie. Protagonisti di questa commedia sentimentale in cui l'affanno giovanile viene raccontato attraverso i toni della commedia e del dramma, sono Martino (Giulio Forges Davanzati) e Ilaria (Chiara Chiti) alle prese con una storia d'amore costruita su un inganno innocente. Infatti, dopo averla spiata per mesi da un terrazzo durante i suoi esercizi dalla sbarra, Martino scopre che l'oggetto della sua passione segreta è una paziente del padre (Alessandro Haber), psichiatra di grande fama e uomo anaffettivo. A questo punto, per avvicinarla senza essere rifiutato, il ragazzo escogita un piano per sostituire il padre durante le sedute. Con abiti nuovi, un taglio di capelli accademico e un paio d'occhiali da studente modello, esibisce una professionalità che non ha, ma poco alla volta riesce a sedurre Ilaria con la sua dolcezza e la comprensione che colma la solitudine di una vita abbandonata a sè stessa.

Questo film rappresenta un sogno condiviso da due amici, Nicola Deorsola e Giuseppe Fulcheri, che finalmente, dopo tre anni di attesa, lo hanno visto realizzare. Ci volete raccontare come tutto ha avuto inizio? Giuseppe Fulcheri: Effettivamente è iniziato tutto come una follia. Avevo scritto questa sceneggiatura senza nessuna particolare ambizione, poi, un giorno, ho deciso di mostrarla a Nicola che, a sua volta, l'ha fatta leggere a Giovanni Veronesi. A quel punto il progetto ha cominciato a sembrare plausibile e, con qualche correzione e suggerimento da parte dello stesso Veronesi, abbiamo iniziato a lavorarci sopra.
Nicola Deorsola: Dal giorno dell'ultimo ciak sono trascorsi ben tre anni e, a questo punto, avevamo perso le speranze di vederlo al cinema. Si è trattata di un'attesa lunghissima e non tutti comprendono che realizzare un film a bassissimo costo non è assolutamente semplice come può sembrare a prima vista.

Fulcheri lei è noto soprattutto per aver scritto molte colonne sonore come quella del film Tutto l'amore che c'è di Sergio Rubini. Perché ha deciso di avventurarsi nella stesura di una sceneggiatura dalle chiare note melò, un genere diventato insolito per il panorama italiano? Giuseppe Fulcheri: Volevo raccontare una storia che, solo per alcuni versi, mi appartiene. Mio padre è uno psichiatra, anche se molto diverso dal personaggio interpretato da Haber, e ricordo che da ragazzino vivevo il suo studio come un territorio misterioso, quasi sacro, che non doveva essere violato. E poi non nego di essermi invaghito più di una volta delle sue pazienti.

Deorsola, lei ha sviluppato una grande esperienza di regia vestendo il ruolo di aiuto per autori come Matteo Garrone. Cosa l'ha spinto ad un esordio in una commedia sentimentale? Nicola Deorsola: Sicuramente la mia amicizia con Giuseppe. Lui mi ha chiesto di girare questo film ed io ho accettato. Probabilmente, se altri mi avessero proposto di realizzare un progetto, avrei già esordito. E poi, questa vicenda mi appartiene fin dalle prime fasi. Ho partecipato ad ogni step e, dal soggetto alla sceneggiatura fino alla realizzazione, l'ho vista nascere e crescere.

Gran parte del peso della storia é posto sulle spalle dei personaggi più giovani. Martino ed Ilaria hanno il compito di raccontare, oltre alla loro storia d'amore, anche la solitudine, il disagio di famiglie disfunzionali e l'anoressia. Come vi siete rapportati con questi due protagonisti? Giulio Forges Davanzati: Credo che tutti i personaggi di questa vicenda vivano immersi in una profonda solitudine ed e anche questo il motivo per cui Martino e Ilaria s'incontrano. Per quanto riguarda poi la lavorazione del film, la collaborazione con Nicola e Giuseppe è stato quanto di più naturale vissuto fino a questo momento. Ci siamo conosciuti per la prima volta durante il provino per la parte ed è stato chiaro, fin dal principio, che avrebbero visionato solamente me. Mi avevano visto durante lo spettacolo teatrale Il laureato, che stavo facendo insieme a Giuliana De Sio, ed erano decisi a volermi in quello che poi è stato il mio primo film.
Chiara Chiti: Sono d'accordo con Giulio quando parla della solitudine dei personaggi. Ilaria, ad esempio, è perennemente chiusa in se stessa ed ha una grande forza che non riesce a tirare fuori. Con il suo rifiuto del cibo vuole semplicemente attirare l'attenzione su di se e mostrare, soprattutto alla madre, di non essere la semplice proiezione di desideri d'altri. Con Martino riesce a costruire un legame più sano perché si confronta con una persona affetta dalla sua stessa sofferenza, con cui riesce ad esprimere se stessa. Trovandomi solo al mio secondo film dopo Un gioco da ragazze di Matteo Rovere, per me è stato fondamentale soprattutto il lavoro fatto insieme sul copione accanto ad attori di grande esperienza da cui trarre ispirazione.

Il personaggio di Ilaria ha qualche cosa in comune con quello di Elena di Un gioco da ragazze? Chiara Chiti: No, non credo. Ci troviamo di fronte a due profili caratteriali profondamente diversi. L'unico elemento che potrebbe accomunarle è la forza che le contraddistingue, anche se nasce e si esprime in modi differenti.
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Continuando a parlare di attori con maggior esperienza, com'è stato il rapporto e la condivisione del set con gli interpreti più giovani? Giuliana De Sio: Per me nessuno di loro è inedito. Non lo è Giulio, con il quale ho condiviso una tournèe teatrale di due anni, e non lo è nemmeno Chiara, visto che ci eravamo già incontrate in un progetto televisivo. Per quanto riguarda gli altri, poi, sono tutte conoscenza di vecchia data tranne, forse, Gianmarco Tognazzi. All'inizio, quando Giuseppe mi ha proposto il film, pensavo che la storia fosse un po' troppo sdolcinata per i miei canoni. Il discorso sulla maternità, il rapporto con la figlia e gli abbracci finali sentivo che erano un po' eccessivi. Poi, però, ho deciso di raccogliere questa sfida con me stessa, cercando di trovare la giusta misura anche all'interno del sentimento. E credo proprio di esserci riuscita.
Alessandro Haber: Io ho visto nascere l'idea, dato che da molti anni sono amico del regista e dello sceneggiatore. Con tutta onestà, oggi posso dire che pur credendo in questo lavoro non ci avrei scommesso nulla sulla sua uscita in sala. Quindi, sono molto felice di essere qui e veder sconfitto il mio pessimismo. Il fatto è che, dopo aver partecipato a molte opere prime mai arrivate sul grande schermo, si diventa un po' scettici. Per quanto riguarda i ragazzi giovani, mi piace mettermi in gioco con loro, è un po' come tornare indietro e ritrovare l'entusiasmo dell'inizio. Ogni volta ti trovi a dover passare un fantomatico testimone e lo fai sempre con grande passione, sperando che l'abnegazione e la dedizione di questi attori non venga mai delusa.
GianmarcoTognazzi: Io sono sicuro che, nonostante sia un progetto a basso costo, questo film avrà un grande successo. Proprio i Maya hanno preannunciato guadagneremo ben venti milioni di euro durante il primo giorno in sala. Anzi, abbiamo anche un numero fortunato che è il tredici, visto che sono rimasti ben tredici milioni di debiti ed io devo ancora ricevere i miei tredicimila euro di cachet.