Recensione eXistenZ (1999)

Con questo film, dopo le inquietudini insinuanti, ipnotiche ma assolutamente contemporanee, di un'opera come Crash, e quelle oscure e stranianti di M. Butterfly, David Cronenberg fa un apparente salto nel mainstream. Ma, sotto la patina di genere, le ossessioni del regista ci sono tutte.

La/le realtà virtuale/i secondo Cronenberg

Con questo film, dopo le inquietudini insinuanti, ipnotiche ma assolutamente contemporanee, di un'opera come Crash, e quelle oscure e stranianti di M. Butterfly, David Cronenberg fa un apparente salto nel mainstream. eXistenZ è, a un livello superficiale, un film di fantascienza, appartenente, più specificamente, al filone futuristico-cyberpunk: c'è un videogioco, al quale si gioca attraverso un collegamento biologico che fonde i circuiti al corpo umano, c'è una realtà virtuale che si rivela subito pericolosa per i giocatori, c'è un intreccio di spionaggio intorno al gioco e alla sua creatrice. Potrebbe sembrare, quindi, una sorta di risposta del regista canadese a Matrix, una pellicola del tutto interna ai codici del genere. Tuttavia, guardando il film con attenzione (e ne basta proprio un minimo) ci si accorge subito che si tratta di una pellicola di Cronenberg in tutto e per tutto, che piega gli stilemi del genere (e qualsiasi concessione al grande pubblico) alla poetica e alle inquietudini del suo autore.
Sono il corpo e la carne a farla da padroni, così come in tutte le pellicole del regista canadese: anzi, la prima regola del cyberpunk che viene qui sovvertita, è proprio quella che prevede la fusione tra carne e metallo. Qui la prima ha evidentemente fagocitato il secondo: i gamepod sono fatti di carne, così come i cavi che li collegano al corpo umano; persino le armi da fuoco sono composte da carne animale e ossa, e sparano denti umani. E la carne (quella sana come quella malata, o quella violata e deturpata dalla bioporta) genera, inevitabilmente, incontrollabili pulsioni erotiche: un erotismo che, in forma latente, coinvolge il gamepod, creatura viva, che risponde agli stimoli di chi lo controlla e può ammalarsi, e morire, come qualsiasi essere vivente; e che coinvolge la bioporta, esempio di carne deturpata, o rimodellata, con il collegamento nervoso che simula una penetrazione, secondo una logica di rimodellamento del corpo umano che Cronenberg, anche qui, porta avanti con estrema coerenza.
Oltre a ciò, oltre ad essere, quindi, l'ennesimo trattato sul disfacimento e la mutazione del corpo, e sulla loro bellezza, questo film è, come già furono Videodrome e M. Butterfly, la storia di un'allucinazione consensuale: il protagonista sa di star vivendo una realtà illusoria, e asseconda quest'ultima. La situazione, tuttavia, è qui più complessa, perché i piani di realtà sono diversi: non sappiamo precisamente quanti, forse infiniti, in un gioco ad incastro che non sembra mai dover aver fine. I personaggi si trasformano, mutano anche nella mente, e nelle attitudini, a seconda dei diversi piani di realtà: ma quello che portano con sé, in questo viaggio percorso in entrambe le direzioni, è il senso di spaesamento derivato dal non essere sicuri della solidità di ciò che sta loro intorno. Di essere vivi solo dentro all'allucinazione (o alla creazione virtuale) di qualcun altro. Temi, questi, non nuovi per la fantascienza cinematografica (e non), ma al quale Cronenberg conferisce un'atmosfera di magnetica inquietudine che è del tutto personale e, come si diceva, del tutto in linea con la sua poetica.
Le evoluzioni, e i continui cambi di direzione della sceneggiatura seguono in pieno la confusione e la sovrapposizione dei livelli di realtà che Cronenberg ha voluto dare alla vicenda; il regista ha impresso al film un ritmo alto, che tuttavia non impedisce il mantenimento di un senso di angoscia costante e insopprimibile, ben sottolineato da un'ottima colonna sonora (composta da Howard Shore) e da una recitazione costantemente sopra le righe da parte di tutti i protagonisti (a una magnetica Jennifer Jason Leigh e a uno spaesato e perfetto Jude Law si aggiungono uno stralunato Willem Dafoe e un enigmatico Ian Holm).
Un'altra prova positiva, quindi, per Cronenberg, un film affascinante e degno di essere guardato più di una volta; ennesima testimonianza di un'autore che, nel corso della sua carriera, è riuscito a cambiare genere e registro più volte, mantenendo sempre, alla base del suo lavoro, le ossessioni e le pulsioni che fin dall'inizio hanno caratterizzato il suo cinema.

Movieplayer.it

4.0/5