La grande amarezza: 8 milioni di (neo)cinefili da Oscar

I social network si trasformano in imponente cassa di risonanza per le reazioni dei nostri compatrioti a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, trasmesso in prima TV ieri sera da Canale 5: un campionario irritante e deprimente di giudizi sommari, esternazioni e inciviltà.

A 12 ore esatte dall'inizio della trasmissione de La grande bellezza di Paolo Sorrentino su Canale 5 (8.861.000 spettatori, 36,11 % di share), ci permettiamo di riflettere su questo evento eccezionale per l'Italia, ovvero la vittoria dell'Oscar per il miglior film straniero a 15 anni di distanza da La vita è bella e il quasi contemporaneo "regalo" fatto da Mediaset ai suoi spettatori, con la decisione di trasmettere in prima tv nazionale un film uscito nelle sale meno di dieci mesi fa. Dell'opportunità di questa scelta si è discusso tanto tra esercenti e addetti ai lavori, di certo è stato un modo per offrire al pubblico italiano più refrattario ad andare al cinema, soprattutto per film più autoriali e che non siano commedie scacciapensieri, l'opportunità di vedere con i propri occhi il film di cui si sta parlando da settimane e per cui almeno metà del Paese si dice particolarmente orgogliosa.

Siamo certi che in casa Mediaset, oltre agli immancabili e imprescindibili calcoli in termini di introiti e share, sia stato in gran parte anche un moto di orgoglio a dare il via a questa iniziativa, visto e considerato che il film è co-prodotto e distribuito da Medusa, ma non siamo così sicuri che la scelta in questione abbia poi fatto bene al film di Sorrentino, ancora troppo "sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura" di quell'evento nell'evento che è stato la partecipazione, e ovviamente la vittoria, alla notte degli Oscar.

Chi scrive ricorda che il giorno dopo gli Oscar si è sempre parlato, con diversi livelli di competenza, delle decisioni dell'Academy: lo si faceva negli uffici, nei bar, in fila alle poste o anche semplicemente per strada. Con l'avvento dei social questa tradizione è ovviamente amplificata in modo esponenziale e con il coinvolgimento diretto del nostro Paese, di un "nostro" regista e di un film che parla di noi non poteva essere che altrimenti. A gettare benzina, ettolitri di benzina, sul fuoco arriva appunto questa prima TV di Canale 5 - con interruzioni pubblicitarie, al contrario di quanto era circolato nelle ore precedenti alla trasmissione - che porta nei salotti degli italiani un film che per sua natura (frammentaria, poco narrativa, fortemente simbolica) andrebbe visto nel suo luogo d'elezione, la sala cinematografica, e con ben altra predisposizione.
Succede quindi che un paese intero si riscopre cinefilo, critico, esperto di un cinema apparentemente dimenticato (se mai veramente scoperto) e strenuo difensore di quel paese e di quei difetti che ogni giorno denuncia.

Succede che i frequentatori di quei social spesso utilizzati per dimenticare le bruttezze della vita quotidiana sono improvvisamente interessati a parlare di una grande bellezza forse troppo sfuggente e criptica, troppo lontana da quel vuoto confortante e liberatorio che di solito anima i nostri televisori, e che quando si fa specchio di noi stessi e della società in cui viviamo va necessariamente esorcizzato.

Avendo già visto e apprezzato il film di Sorrentino in tempi non sospetti (ma, chiariamolo, non ce ne facciamo un vanto e non andiamo certo a dire che siamo stati tra i pochi a farlo, anche perché non corrisponderebbe alla verità: a Cannes al termine della proiezione eravamo sì ad applaudire, ma in buonissima compagnia di tanti colleghi italiani e stranieri commossi ed entusiasti quanto e più di noi), ci siamo limitati ad osservare la lunga fila di commenti ed esternazioni di amici, parenti e conoscenti, gente che normalmente un film del genere l'avrebbe visto solo costretto dalla cura Ludovico, spesso buffi e stranianti, ma sempre in conflitto e controtendenza con quello che è il reale pubblico cinematografico italiano degli ultimi 30 anni.
Siamo certi che nessuno si offenderà se ci permettiamo di analizzarne, e perché no, criticarne alcuni atteggiamenti comuni che non abbiamo potuto fare a meno di notare.

Quelli che... ma cosa aspetta a sostituirlo? Siamo certi che non siamo stati gli unici a notare molte somiglianze tra la visione "collettiva" del film di Sorrentino ed una qualsiasi partita della nazionale italiana di calcio. E così come solitamente decine di milioni di italiani si trasformano in allenatori di calcio, ieri sera in tanti si sono autopromossi filmaker. C'è chi critica la regia troppo all'americana di Sorrentino, chi lo accusa di aver preso il meglio dal cinema italiano dei "bei tempi", chi dice che a scrivere una storia più interessante avrebbe impiegato pochi minuti o che avrebbe saputo rendere Jep Gambardella meno macchiettistico e più interessante. Un po' come il "Ma cosa aspetti a mettere un centrocampista in più, non vedi che stiamo soffrendo il loro pressing?" che tutti quanti abbiamo urlato almeno una volta al televisore, ma con la differenza che quasi ogni italiano ha almeno una volta giocato una partita di pallone mentre pochissimi hanno girato un film, anche solo amatoriale. E con l'altra significativa differenza che quasi tutti coloro che seguono con passione la nazionale di calcio vedono una-due-cinque-dieci partite di calcio alla settimana in TV; molti di quelli che ieri si sono sintonizzati su Canale 5 non vedevano un film, ancor più se italiano o d'autore, da chissà quanto tempo.

Quelli che... sono attenti al marchio Italia. Perché evidentemente per molti un film che racconta il nostro paese concentrandosi sul contrasto tra le indiscutibili bellezze del nostro Stivale e le brutture di coloro che lo vivono e lo governano non ci aiuta a crescere ma anzi ci penalizza al di fuori dei nostri confini. Un discorso quantomeno opinabile, visto e considerato i premi vinti, le vendite estere della pellicola, la maggiore attenzione verso la nostra industria cinematografica e i nostri artisti, e anche considerato che la bellezza squisitamente turistica rimane assolutamente intatta. Ma fa ridere e riflettere, soprattutto se consideriamo che solo pochi anni fa si indignavano davanti ai mancati riconoscimenti internazionali per Gomorra.

Quelli che... facile copiare Fellini. Non vogliamo entrare nel merito della discussione sulla differenza tra copiare e omaggiare che sarebbe lunga e anche inutile. Però dobbiamo dire di essere rimasti molto colpiti dall'amore degli italiani per il cinema di Federico Fellini, un amore di cui eravamo, evidentemente, solo parzialmente consapevoli. Anche perché, francamente non pensavamo che esistesse così tanta gente in grado di coglierli questi omaggi, ma probabilmente sottovalutavamo gli spettatori italiani. O forse sottovalutavamo il potere dei critici cinematografici che evidentemente con questo film sono riusciti a far passare le loro analisi e riflessioni molto più di quanto riescano normalmente.

Quelli che... sono esperti dei gusti cinematografici degli stranieri. "Un film fatto per piacere all'estero", una frase che abbiamo letto spessissimo ieri ma anche nei giorni precedenti e che ci fa sorridere perché in genere lo spettatore italiano sa molto poco di quello che succede nei cinema (ma non solo) al di fuori dei nostri confini. Un'altra cosa che si sente è "film da festival", ma anche qui, nonostante l'imbarazzante numero di festival cinematografici nostrani, voi lo sapevate che c'era così tanta gente conoscitrice dei festival e dei suoi "tipici" film?

Quelli che... il vero Sorrentino era quello de L'uomo in più. Eh sì, perché c'era un tempo in cui Sorrentino faceva film non per vincere gli Oscar e arruffianarsi Hollywood, e a quanto pare sono film che hanno avuto uno straordinario successo commerciale, visto che il "vecchio" Sorrentino è adesso sulla bocca di tutti o quasi. A quanto pare sono passati i tempi di "Sorrentino chi? Ah, quello di Gomorra!"

Quelli che... il solito cinema commerciale. Ovvero il "Ci sono così tanti film veramente belli che meriterebbero di essere distribuiti ed osannati" che sicuramente avrete letto anche voi e che sicuramente vi avrà fatto riflettere su questa povera Italia alla continua ricerca del cinema di qualità ma quasi costretta a riversarsi nelle sale italiane per vedere l'ennesimo Checco Zalone o il trentesimo cinepanettone quando in realtà brama film italiani talmente nascosti da non essere nemmeno distribuiti in sala.

Quelli che... i giurati degli Oscar e la dipendenza da alcool. "Ma cosa avranno bevuto i giurati degli Oscar?", "Era meglio se votavamo noi" o il più bello di tutti "Il fatto che non abbiano nemmeno nominato La vita di Adele fa capire quanto valgano questi giurati" (il film di Kechiche non era eligibile per gli Oscar di quest'anno, il film selezionato dalla Francia era Renoir ndr) Sono commenti tipici da chiacchiericcio post Oscar, e in genere pochissimi hanno visto tutti i film di cui parlano. Ma quando si tratta poi dei film stranieri la cosa è ancora più divertente perché difficilmente lo spettatore medio, anche volendo, avrebbe potuto vedere i film in lizza. Ammettiamo però che avremmo pagato per leggere i commenti durante la trasmissione in prima serata del cambogiano The Missing Picture di Rithy Panh.

Quelli che... sono fantozziani fino al midollo. Perché appunto La grande bellezza è una cagata pazzesca. E' già pronto da giorni il nuovo tormentone e sono tantissimi quelli che ne stanno facendo un grande uso ed abuso. Ci chiediamo però quanti capiscano che ne Il Secondo tragico Fantozzi non era tanto la critica al capolavoro di Sergej M. Ejzenštejn ma l'esaltazione dell'italiano medio e della sua consapevolezza dell'essere tale, con il rifiuto di una cultura "alta" (e imposta dalla società) a favore di un qualcosa di ben più popolare come la partita di calcio. La differenza è che qui nessuno ha imposto il film di Sorrentino, ma è stato proprio l'italiano medio a volerlo vedere, in modo volontario, per elevarsi ed ergersi a giudice di un prodotto che in realtà non è stato proprio pensato per lui, anzi.
Fantozzi veniva punito per la sua ribellione e veniva costretto a recitare in una sorta di remake amatoriale de "La corazzata Kotiomkin". Qui si potrebbe costringere coloro che fanno lo stesso con il film di Sorrentino a fare altrettanto, ma cosa ne verrebbe fuori quando in realtà sono proprio loro già adesso l'oggetto della critica del film?

Quelli che... non si capisce niente. E che sono francamente quelli che più apprezziamo, perché è assolutamente vero, il film di Sorrentino non è un film semplice, non è un film per tutti, non è film da grande pubblico visto che "non ha una storia", ha molte scene apparentemente "buttate lì" e che "non si capisce a cosa servono". E' un film che va assorbito, va ripensato, possibilmente va anche rivisto. E soprattutto va visto con il giusto approccio, di certo non solo perché ha vinto l'Oscar e ne parlano tutti.

Quelli che... Roma ladrona/Roma caput mundi. E infine teniamo per ultimi coloro che ne fanno una questione politica e/o personale, che si sentono offesi perché un regista (per di più napoletano e non romano!) parla (anche male) della loro città o coloro che approfittano per portare avanti idee razziste e secessioniste facendo leva sulle critiche che, secondo loro, verrebbero mosse alla Capitale. Beh, a voi lasciamo un'ultima banale ma a quanto pare necessaria considerazione, La grande bellezza non parla di Roma ma parla dell'Italia intera, così come il triste spettacolo a cui abbiamo assistito ieri sera, e di cui vi abbiamo voluto parlare in questo articolo dal nostro personalissimo punto di vista, è un perfetto specchio di quella che è la nostra società e il nostro paese. Ed è per questo che fa particolarmente male.